Santino Salerno

Tra i numerosi e miracolosi santi che si venerano neicentri della Costa Viola e in quelli dell’entroterra preaspromontano  e si affacciano sulla Piana di Palmi, SAN ROCCO, il santo venuto dalla Francia e che ha sconfitto la peste, è sicuramente quello che conta maggior seguito di fedeli. Supplici e penitenti accorrono tra agosto e settembre, a Scilla, a Palmi ad Acquaro di Cosoleto, per implorare o ringraziare, compiendo atti di devozione e plateali manifestazioni di penitenza in cui il confine tra fede e folclore è indistinguibile, fusi in un unicum che assomma spettacolarità e pietas religiosa.

Emozionante e suggestiva è la processione di San Rocco, che si svolge a SCILLA, stupendo borgo della Costa Viola, cui fa da sfondo il mare da dove nascono i miti. E un paesaggio incantato che, con la sua anima leggendaria, fa sì che le preghiere scaturiscano dal cuore con fede smisurata, con maggiore forza, e più intensa speranza.

La devozione verso San Rocco che si perpetua ormai da secoli — le fonti storiche fanno risalire il culto tra fine del ‘400 e non più tardi dei primi del ‘500 – costituisce per gli scillesi un punto di riferimento spirituale  e, a un tempo, un elemento identitario della comunità civile.

La processione si svolge in due giorni, il primo sabato e la prima domenica dopo il 16 agosto. Nei due giorni di festa la statua lignea del Santo si fa pellegrina, portata a spalla tra vicoli e stradine con la folla dei fedeli e dei tanti emigrati che ritornano per l’occasione.

Connotato distintivo è il corteo delle donne che portano ceri votivi, i ‘ntorci, che aprono e illuminano la via al Santo durante il lungo percorso, e che ardono come simbolo della fede e come segno di speranza o di grazia ricevuta.

Canti imploranti intercessioni accompagnano la statua nel lento

e solenne procedere: Santu Rroccu è ‘na gran potenza/ siti rriccu di santità/ la grazzia chi ieu vi cercu/ facitimmnilla pe’ carità/ Facitimmilla santu Rroccu/ facitimmilla pe’ carità/ Pe’ lu dunu chi arricivistu/ di la Santissima Trinità.

Tra la testa e la coda del corteo le voci, i canti e le preghiere

si accavallano si fondono e si confondono; il Santo ora viene invocato con un rispettoso “Voi” ora con il “Tu” confidenziale:

Vi salutu Santu Rroccu/ Pe’ ‘ssa piaga ch ‘avìti o ginucchiu/ comuDdiu ti sana a ttia / sana la piaga dill’anima mia

Nel pomeriggio del sabato, la statua percorre il caratteristico borgo della Chianalea, prosegue verso il rione di Marina Grande, per poi risalire verso il quartiere di San Giorgio. Di grande effetto è la chiusura della festa la domenica sera, quando la statua, giunta nella grande piazza antistante la chiesa, si apre la via tra due ali di folla e i portatori si apprestano all’ultima fatica: il “Trionfino di San Rocco” ovvero la corsa, con il Santo in spalla, dalla piazza fino al sagrato, passando attraverso il tunnel delle “roteddhi”, le girandole dei fuochi artificiali che balenano vorticando impazzite.

Una prova emozionante che simboleggia il trionfo del Santo sul male della peste che divampò in tutta Europa e da cui Scilla fu preservata.

I “Fuochi di Mezzanotte”, concludono la festa sotto lo sguardo incantato di migliaia di scillesi di devoti e di turisti, nello splendido scenario che offre il mare dello Stretto così unico e speciale da sembrare un miraggio.

Dire ACQUARO è dire San Rocco. Il binomio è inscindibile ed è l’elemento identitario del piccolo silenzioso borgo che, arroccato sul versante occidentale dell’Aspromonte conta

poco più, poco meno, di un centinaio di anime e domina dall’alto il mare verde di ulivi che si estende senza soluzione di continuità fino alla costa e fa da controcanto alle azzurre acque del Tirreno.

Qui, dove per l’intero anno il tempo sembra immobile, a metà settembre, nella ricorrenza della festività, tutto lentamente prende vita e movimento e respiro; i vicoli si rianimano e la bella chiesa è presa d’assalto da migliaia di pellegrini.

Giungono a piedi dai paesi della Piana ma anche dal versante jonico, attraverso piste e sentieri appena accennati lungo i crinali, tra i boschi, o salendo e scendendo lungo vallate e forre arse.

Cantano tutti le lodi del Santo lungo il loro cammino, e quando giungono ad Acquaro verso sera o a notte inoltrata, al cospetto del Santo compiono gli atti devozionali. Intorno alla mezzanotte quando la statua, dalla nicchia alta sull’altare maggiore, vien fatta scivolare fino a terra lungo un piano inclinato per essere poi collocata sul fercolo di legno, i fedeli le si accalcano attorno, fanno ressa, si sbracciano per toccarla. Alcuni riescono appena a sfiorarla, e portano le mani alle labbra; altri seduti già da ore sulle panche, si percuotono il petto col pugno chiuso e cantano implorando fino allo sfinimento: Supr’a ‘ssa vara dispostu vui siti/ oh Santu Roccu la grazzia facìti

Nell’immaginario, ma anche nell’esperienza collettiva il Santo d’Acquaro è il San Rocco maggiormente propenso all’ascolto, alla concessione di grazie e all’intercessione.

La statua dà l’idea di un Santo modesto e bonario, qualcosa che lo avvicina di più alla fragilità degli uomini che non alla perfezione dei santi e quindi lo si sente più disposto a capire le debolezze, le sofferenze, i bisogni, le paure di chi prega e pregando coltiva una speranza.

Dal fondo della chiesa arrivano echi di altri canti mentre fuori si uccidono capre e si accendono fuochi.

Nella notte mangiano e bevono i pellegrini e danzano al suono di organetti e tamburelli e zampogne fino allo spuntare dell’alba. Il viavai nella chiesa non cessa fin quando nel pomeriggio, con accompagnamento di bande e spari di mortaretti, la statua non verrà agilmente portata a spalla.

A sera i fuochi d’artificio chiuderanno la festa, ma allora gran parte dei fedeli sono già sulla via del ritorno; ne sentiranno solo il rimbombo e vedranno il lampeggiare che rischiara la notte, mentre Acquaro di Cosoleto lentamente si svuota e presto il tempo tornerà a fermarsi di nuovo.

A PALMI la festa di San Rocco si celebra il 16 di agosto con una straordinaria partecipazione popolare.

I palmesi si affidano speranzosi al santo di Montpellier ai cui piedi, ogni anno, depongono centinaia di ex voto di cera: teste, cuori, polmoni, reni e arti e altro e anche oggetti d’oro e d’argento e offerte in denaro.

La chiesa già nei giorni che precedono la festa è meta continua di fedeli e il giorno della vigilia sono tanti, donne soprattutto, che per l’intera giornata, senza toccare né cibo né acqua, invocano il Santo “protetturi”e “avvocatu”; ne tessono le lodi, inneggiano alla bellezza che è pari a quella di Gesù bambino,

lo vezzeggiano: Santu Rroccuzzu meu chi siti bellu/ aviti la facci di lu Bambinellu/ e vi l’ha data la matri di Ddeu/facitimi la grazzia santu Roccuzzu meu.

Il giorno della festa, i mortaretti danno la sveglia alla città; e le bande paesane percorrono le vie cittadine con i suonatori in divisa e in affanno sotto il sole d’agosto.

E poi ci sono i “Giganti”, enormi fantocci di cartapesta Grifone il principe moro invasore, e Mata la bella principessa indigena dalla pelle rosata. Girano per le strade, e al suono cadenzato, fortemente sincopato dei tamburi simulando una danza di corteggiamento; e quando i portatori caracollando li avvicinano l’uno all’altra, fino a sfiorarsi, il suono dei tamburi si fa più serrato e più alto.

Elemento distintivo della processione che inizia nel tardo pomeriggio, e si protrae per quattro ore, sono gli “spinati”, uomini e donne di ogni età, appartenenti a tutte le classi sociali, che per aver ottenuto una grazia o perché devono ancora ottenerla, indossano per voto una pesante cappa diarbusti spinosi. Disposti su due file parallele, precedono la statua del Santo.

Gli uomini camminano scalzi e silenziosi tenendo tra le braccia incrociate sul petto nudo un’immagine del Santo, mentre la cappa di spini grava sul capo e sul tronco nudo. Le donne pregano e cantano; alcune portano per lo più la corona di spini e un grosso cero in mano.

Questa processione offre l’opportunità di osservare inusitati aspetti dell’animo umano, nel momento in cui ciascun devoto, individuo e massa nel contempo, liberatosi da ogni pudore, è disposto, penitente o grato, a mostrarsi in tutta la sua scoperta fragilità. La festa si conclude a sera inoltrata con l’arrivo della statua, nella piazza grande. Poi, a tarda notte, quando i fuochi, illumineranno a giorno il monte Sant’Elia e il cielo d’agosto,  davanti alla chiesa giaceranno abbandonate le cappe, le corone di spine e i ceri. San Rocco è ormai in chiesa da un pezzo e guarda verso l’uscio aperto da dove fa capolino l’ultimo dei pellegrini con occhi ingenui e imploranti.

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