Gerace, dalla legenda alla realtà di ieri e di oggi. Storia che può essere letta lungo le piazzette, i vicoli, i muri delle case e dei suntuosi palazzi con i portali in pietra lavorata da scalpellini locali.
E poi, la presenza innumerevole di monasteri, chiese monumentali e non, contribuisce a identificare la rocca come una sorta di Monte Santo.

Gerace sorge su una rupe alta 473 m. a pochissimi chilometri dal mare Jonio, in una posizione veramente incantevole. Il nome deriva dal greco “ierax” che significa “sparviero” e infatti il rapace campeggia nello stemma della città.

La storia di Gerace è strettamente legata a quella di Locri Epizephiri. Il nucleo abitativo, infatti, si sviluppò in seguito all’abbandono della città di Locri, avvenuto a partire dal VII secolo d.C., a causa del sempre maggiore pericolo piratesco e la sempre crescente insalubrità delle coste. A questo spostamento dei Locresi dall’antico sito costiero verso l’interno è strettamente collegato anche il nome della cittadina che, a credere alla leggenda, esso sia legato ad un leggendario sparviero, in greco Iraqndo, Ιέραξ – e infatti il rapace campeggia nello stemma della città – che avrebbe guidato i Locresi, inseguiti dai Saraceni, verso la rocca.

Delle dodici porte che originariamente si aprivano sulle mura del nucleo storico del paese ne sono sopravvissute soltanto quattro: Porta dei vescovi o della Meridiana, prossima alla Cattedrale, Porta Santa Lucia, Porta Maggiore, Porta del sole.

Di particolare importanza è lo spazio pubblico rappresentato da Piazza del Tocco sulla quale hanno affaccio alcuni palazzi nobiliari, tra i quali Palazzo CalcheopuloPalazzo Migliaccio e Palazzo Macrì.

Ciò che oggi la contraddistingue in modo assolutamente singolare la città è la testimonianza palpabile, in tutto il circuito urbano, della sua storia religiosa.

È stata, infatti, Gerace tra le diocesi più antiche della regione, simbolo della città santa, Acropoli del cristianesimo calabro, come fu definita per aver opposto fiera resistenza agli attacchi degli arabi, ma anche per la ricchezza di chiese e monasteri che da sempre l’hanno contraddistinta nel corso dei secoli: dal Beato Leone a Barlaam di Seminara, maestro di Petrarca e Boccaccio.

La città è suddivisa in tre nuclei ben distinti: Il Borgo, il Borghetto e la Città propriamente detta.

Ciò che oggi la contraddistingue in modo assolutamente singolare la città è la testimonianza palpabile, in tutto il circuito urbano, della sua storia religiosa.

È stata, infatti, Gerace tra le diocesi più antiche della regione, simbolo della città santa, Acropoli del cristianesimo calabro, come fu definita per aver opposto fiera resistenza agli attacchi degli arabi, ma anche per la ricchezza di chiese e monasteri che da sempre l’hanno contraddistinta nel corso dei secoli: dal Beato Leone a Barlaam di Seminara, maestro di Petrarca e Boccaccio.

La città è suddivisa in tre nuclei ben distinti: Il Borgo, il Borghetto e la Città propriamente detta. Si entra attraverso il quartiere denominato “Borgo Maggiore” dove si trovano un conglomerato di case di artigiani della creta, chiese e monasteri. Risalendo da via “Cinque Martiri” e proseguendo oltre, troviamo la chiesa, più volte restaurata, di Santa Maria delle Grazie annessa al convento dei Cappuccini, con gli splendidi altari lignei opera nel 1720 di fra’ Ludovico da Pernocari.

Oltrepassata la Porta del Sole, s’incontrano la Chiesa e il monastero di Sant’Anna fondato durante l’episcopato di Barlaam nel XIV secolo e la chiesa, semplice nelle forme architettoniche, conserva al suo interno numerose opere d’arte soprattutto del XVI e XVII secolo.

Preziosa è la secentesca tela attribuita a un allievo di Mattia Preti raffigurante San Pantaleone e una grande pala d’altare opera di Antonio d’Amato, la Santa Caterina.

Quando si giunge alla Piazza Tribuna, appare la maestosa Cattedrale – la più grande della Calabria -che con il suo corpo absidale domina tutta la piazza.

Da una porta praticata nello spessore dell’abside di destra si accede alla cripta sorretta da ventisei colonne antiche che suddividono l’ambiente in nove navatelle.

La grande cancellata in ferro battuto, realizzata da maestranze provenienti da Serra San Bruno nel 1669 chiude la cappella della Madonna dell’Itria rivestita in marmi nel 1613 per volontà del vescovo Mattei.

Lungo le pareti la serie dei “seggi dei canonici” con decorazioni illustranti le laudi dedicate alla Vergine, in marmo bianco su fondo nero.                                                                                                                                                                                                                                                 

Sull’altare è la statua marmorea della Madonna di Prestarona, probabilmente legata alla scuola di Tino da Camaino e databile all’inizio del Trecento. Sull’altare l’interessantissima statua marmorea del 1372 raffigurante la Madonna col Bambino, pregevole opera gotica rinvenuta da Giacomo Oliva nel 1974 in una edicoletta di campagna.

Dalla cripta si accede alla Basilica superiore.

Lo scenario che si presenta è veramente grandioso. La chiesa presenta una pianta a croce latina, con una fuga di dieci colonne per lato di età imperiale romana che suddividono il braccio lungo in tre navate. Il presbiterio ampio e luminoso è sormontato da una cupola e il coro si estende in lunghezza.

La cattedrale è dagli studiosi datata intorno al 1060. Costruita dai Normanni, presenta alcuni schemi bizantini come l’orientamento della chiesa. Non dimentichiamo che il rito greco a Gerace perdurò fino al 1480.                                                                                                Veramente prezioso il bassorilievo di Antonello Gagini del 1547, posto alla parete della navata di destra, raffigurante “l’incredulità di san Tommaso”.

Il grande altare barocco in marmo è opera dei fratelli Amato da Messina e Antonio Palazzotto da Catania, commissionato dal vescovo Del Tufo agli inizi del XVIII secolo assieme ai preziosi candelabri in bronzo.

L’altare basilicale in pietra è stato voluto nella sua forma da Giacomo Oliva che è riuscito, attraverso una delicata mediazione, a far deporre le reliquie dei santi martiri da due vescovi: Mons. Bregantini, vescovo cattolico della diocesi e l’Arcivescovo Spiridione metropolita greco-ortodosso d’Italia. Fatto assolutamente unico dal tempo dello scisma e non a caso l’altare è stato definito “altare dell’Unità”.

 

Usciti dalla cattedrale ritorniamo alla piazza Tribuna per recarci alla Chiesa di San Francesco il cui bellissimo portale arabo-gotico colpisce il visitatore già da lontano.

La chiesa presenta una grande aula, illuminata da sei monofore ogivate, un tempo affrescata, arricchita di altari e dei sarcofagi dei feudatari, oggi spoglia grazie anche agli scempi commessi dai francesi nel 1806.

Il grande arco trionfale a sesto acuto incornicia quel gioiello barocco dell’altare maggiore commissionato da fra’ Bonaventura Perna nel 1664. E’ un autentico capolavoro barocco, realizzato in tarsie marmoree policrome.                                                                            Degno di nota è il meraviglioso altare barocco in marmo intarsiato, databile agli anni sessanta del Seicento e realizzato per volontà del frate Bonaventura Perna. L’altare, che riprende tematiche e forme legate al Barocco napoletano, è decorato con formelle realizzate con marmi provenienti dalla vicina cava di Prestarona, che riproducono sia elementi fitomorfi che forme zoomorfe e paesaggistiche.                                                                                     Dietro l’altare maggiore, il sarcofago del Principe Nicola Ruffo di Calabria, comandante militare di Gerace, morto il 13 marzo del 1372. Il sarcofago ripropone i modelli importati nel Regno di Napoli da Tino da Camaino.

La Chiesetta di San Giovannello, così indicata per le sue minuscole dimensioni è in pietra e mattoni, a navata unica, edificata attorno al X secolo.

 

Apparteneva al distrutto monastero femminile di San Giovanni Crisostomo, di rito greco. Per tantissimi secoli        la chiesetta è rimasta chiusa ed era impossibile visitarla.

Consacrata il 5 novembre 1991 quale Santuario Ortodosso Panitalico della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia dal metropolita Ghenadios è divenuta così la madre di tutte le chiese ortodosse di rito greco in Italia.

Il Castello. Costruito probabilmente durante il VII secolo d.C., la sua esistenza è testimoniata già nel X secolo d.C. quando fu devastato insieme alla città dai bizantini. Con la venuta dei normanni, intorno al 1050, fu ristrutturato e fortificato ma nei secoli successivi subì le devastazioni di alcuni catastrofici terremoti. Di esso rimangono una grande torre e poche mura, in parte ricavate dalla roccia e in parte si ergono a picco sui burroni circostanti. Originariamente era dotato di sistemi di canalizzazione delle acque meteoriche, di un grande pozzo, un ponte levatoio sul suo lato orientale, un’ampia armeria, un cortile interno, del quale rimangono alcuni ruderi del colonnato, e altri locali adibiti alle più svariate funzioni.

 

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