A Gerace, un prezioso arazzo fiammingo del XVII secolo è tornato all’antico splendore.
E’ l’ennesimo gioiello di un luogo già ricchissimo di storia
Gerace è forse la località con il più bel centro storico della Calabria. Vanta la cattedrale romanica più ampia e maestosa del Mezzogiorno d’Italia, costruita con le colonne dei templi greci dell’antica Locri. Ma questo già si conosce. Quel che pochi sanno (o sapevano) è che Gerace possiede anche l’arazzo più grande e pregiato del Sud della nostra Penisola, creazione del maestro fiammingo del XVII secolo, Jan Leyniers. A detta della Soprintendenza per i Beni culturali della Calabria, è una delle opere più importanti presenti nella Regione, in cui traspare tutta la raffinatezza della scuola di Bruxelles-Brabant. Altri arazzi di Leyniers si possono ammirare al Nelson-Atkins Museum di Kansas City, all’Art Institute di Chicago o al Collegio Alberoni di Piacenza.
Quello di Gerace è imponente, largo cinque metri e sessantaquattro e alto tre metri e ottanta. Rappresenta un’affollata scena di caccia, incorniciata da un abbondante festone, e forse appartiene a un ciclo più ampio, riferibile al mito di Meleagro e Atalanta.
Entro un fitto bosco due giovani s’incontrano e si accingono all’abbraccio. Dietro a loro c’è una possente figura femminile – un’eroina o una divinità – e attorno un gran numero di figure con i cani e cavalli.
Il manufatto di Leyniers è stato sottoposto a un complesso lavoro di recupero. Prima con una diagnosi multispettrale, metodo usato di solito per i dipinti, condotta dal laboratorio della Soprintendenza della Calabria. Quindi con il restauro vero e proprio, affidato al laboratorio cosentino di restauro tessile La trama e l’ordito di Simonetta Portalupi, con la direzione scientifica dello storico dell’arte Nella Mari.
Il manufatto era irriconoscibile, uno strato di sporco ne offuscava la superficie, in particolare sul retro, per la gran quantità di fili volanti che raccolgono e trattengono le impurità. Si è dovuto intervenire per eliminare le deformazioni, le macchie di ruggine e i decadimenti dei filati, soprattutto nelle zone tessute in seta. La fodera, appesantita ed irrigidita, è stata temporaneamente distaccata assieme a parte dei sostegni tessili applicati in precedenti restauri. Poi si è smacchiato, tamponato e rimesso in forma.
Ed infine il miracolo si è compiuto: l’arazzo è tornato all’antico splendore, capace di lasciare a bocca aperta chi ha la fortuna di ammirarlo.
L’arazzo testimonia, tra l’altro, l’ampiezza dei rapporti culturali tra la Calabria e l’Europa nel tardo Rinascimento. La nobiltà e il clero di una cittadina capoluogo di circondario potevano permettersi di commissionare un oggetto d’arredo così prezioso a una delle più note famiglie di tessitori delle Fiandre. Bei tempi.