Molti ricordano l’imbarazzo di fronte all’illustre professore straniero:  “Ma io non conosco il tedesco: possiamo parlare in italiano?” “Megghju ‘n dialettu!” era la sua amabile risposta…
Per oltre 60 anni ha visitato gli angoli più remoti della Calabria.

 

Paolo Martino

Conobbi Rohlfs nel 1977 all’Accademia dei Lincei, a Roma, in occasione di una sua conferenza dal titolo L’antico ellenismo nell’Italia di oggi (sostrati e riflessi). Parlò della vexata quaestio dell’antichità delle parlate grecaniche dell’Aspromonte e del Salento, che ancora divideva gli studiosi, apportando nuovi elementi a sostegno della sua “tesi della continuità”. Mi impressionò la sua conoscenza dei dialetti e della storia della Calabria, ma soprattutto l’amore che traspariva dietro l’esposizione dei dati scientifici. Compresi che non era di circostanza la dedica da lui apposta al Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria, edito da Longo, Ravenna: “a voi / fieri calabresi / che accoglieste ospitali me straniero / nelle ricerche e indagini / infaticabilmente cooperando /alla raccolta di questi materiali / dedico questo libro / che chiude nelle pagine / il tesoro di vita / del vostro nobile linguaggio”.

Giovane studente di glottologia, non speravo nella sua confidenza; e invece mi sorprese l’affabilità così poco teutonica, specialmente quando, saputo che ero calabrese, mi chiese una raccolta di soprannomi di Melicuccà, che poi incluse nel suo Dizionario dei cognomi e dei soprannomi della Calabria. In seguito mi onorò della sua considerazione, come faceva con le migliaia di calabresi che collaboravano con lui nelle infaticabili ricerche, inviandomi le pubblicazioni. Il suo entusiamo per la mia prima prova scientifica, l’etimologia della parola ‘ndrànghita, fu il maggiore stimolo a proseguire nella ricerca glottologica.

Rohlfs fece il primo viaggio nel Gargano nel 1914, a 21 anni, con una borsa di studio. L’impatto con la grande varietà dei dialetti italiani lo colpì. Il 1922 segna l’inizio di una lunga epica campagna di “scavi” linguistici, nelle piazze, nelle osterie, nelle case, nelle campagne, con percorsi a dorso di mulo, disavventure varie. Le ricerche dialettali, amava dire il Rohlfs, si fanno “coi piedi” oltre che con la testa. L’etimologia dev’essere studiata in stretta relazione con gli oggetti, i manufatti, i fenomeni culturali. Eccolo perciò in Calabria ad assistere al parto duna giovenca, alla lavorazione del formaggio e della ginestra, alla vendemmia, all’antico gioco degli astragali (su cui pubblica un magistrale studio).

Un instancabile pellegrinaggio, durato oltre 60 anni, per tutti i paesi più sperduti della regione, armato di macchina fotografica e con montagne di schede raccolte in scatole per scarpe. In ogni paese il Rohlfs aveva i suoi informatori; e molti ricordano l’imbarazzo di fronte all’illustre professore straniero: “ma io non conosco il tedesco: possiamo parlare in italiano?”. “Megghju ‘n dialettu!” era la sua risposta amabile. E si parlava nella varietà dialettale del posto, che lo studioso dominava perfettamente, giungendo persino a correggere gli informatori locali quando il loro dialetto risultava contaminato da altre parlate. Di tutti i viaggiatori stranieri autori di “pedestrian tours” in Calabria, egli fu certo il più impavido e costante, ma soprattutto il più innamorato, al punto da diventare “più calabrese dei calabresi” (ipsis Italis Italior lo definì Giuliano Bonfante).

Dopo le sue prime escursioni in Aspromonte, Rohlfs  pubblicò nel 1924 una nota dal titolo eloquente: Una lingua che se ne va (in Folklore 10, 1924). Nel 1928 scriveva nella rivista Anthropos: “Scompariranno irrevocabilmente anche questi ultimi avanzi del greco italico, se non interviene il governo d’Italia. Esso non avrebbe anche l’alto compito di conservare e tutelare  queste minoranze linguistiche, questi ultimi discendenti di una popolazione che a Roma diede una volta la sua cultura e la sua tradizione artistica? Forse quei paesi greci hanno meno diritto di essere dichiarati monumento nazionale che i trulli di Alberobello e le pitture bizantine?”

Ormai la grecofonia calabrese e salentina ha cambiato statuto sociolinguistico. Dell’antica condizione persistono nell’Aspromonte i termini “denigratorî” parpàtulu, paddècu, zàmbaru, tamàrru, zangrèu, appellativi che nei vari dialetti del reggino hanno più o meno lo stesso significato: ‘zoticone, poveraccio, ignorante, scemo’. Sono tutte voci grecaniche che, quando sono entrate nel dialetto, designavano i Greci dell’Aspromonte. Ma il revival c’è stato, secondato peraltro da recenti cospicue provvidenze governative, e alle origini del complesso fenomeno di recupero di identità c’è lui: il Professore tedesco.

Merito indiscusso del Rohlfs è aver attratto sulla Calabria l’attenzione degli studiosi di tutto il mondo, che non si sono potuti sottrarre alla sfida della sua tesi sulla continuità “ex temporibus antiquis” della grecità contemporanea. Essa indicava nella Calabria la vitalità di una cultura illustre e antica, che tutti potevano ancora sentire nelle parole dei contadini e dei pastori. Sarebbe troppo lungo l’elenco dei consensi riscossi (per lo più tra gli studiosi stranieri) e dei dissensi (quasi tutti italiani). La polemica infatti tracimò presto dalle sedi scientifiche assumendo l’aspetto di una querelle politica e ideologica.

Quando il Rolhfs diffondeva nel mondo scientifico le sue scoperte, in Italia si era affermato il regime fascista e la cultura universitaria si era allineata – tranne poche eccezioni – alla politica del regime, che non tollerava l’inquinamento dell’italiano, figlio illustre e primogenito del latino di Roma, da parte della “malerba dialettale”, e tanto meno poteva accettare che uno straniero mettesse in luce la superiorità del greco, che sarebbe stato vittorioso in terra italica sul latino proprio quando l’Italia fascista promuoveva il programma imperiale in nome della Romanità.

Così una conferenza del Rohlfs, nell’aprile 1932 a Cosenza, sulle origini della grecità calabrese fu sospesa a causa dell’ostilità degli intellettuali fascisti. Racconta Rohlfs in una lettera al suo biografo Salvatore Gemelli: “La conferenza era stata annunciata con manifestini affissi nelle strade principali della (vecchia) città. Sapevo che la mia teoria non piaceva all’Italia fascista; perciò quella conferenza sembrava una vera offesa alla nazione italiana che stava conquistando l’Abissinia. Come si faceva a pensare, allora, ad un’Italia che non avrebbe avuto la forza di distruggere la grecità in casa propria? Per ordine del federale, la conferenza fu impedita con un annunzio applicato sugli stessi manifestini, motivandolo con la mia cattiva salute. A tale interdizione gli risposi con una lunga passeggiata, che feci nelle ore serali (ora della conferenza) per il corso principale della città”.

Ma la risposta più eloquente del professore tedesco fu il Dizionario dialettale delle Tre Calabrie, che cominciò a uscire a fascicoli a Halle (1932‑1936), senza dubbio il miglior vocabolario regionale che vanti la dialettologia italiana, seguito dal libro Scavi linguistici nella Magna Grecia (1933), la summa delle sue teorie.

Nel 1944 la Gestapo sospese Rohlfs dall’insegnamento per alto tradimento. Ma i suoi studi continuarono; i viaggi in Calabria ripresero con maggior frequenza dopo la Liberazione, fino alla vigilia della morte.

Gerhard Rohlfs, il “Patriarca dei linguisti” (la definizione è di A. Varvaro), si è spento a Tubinga il 12 settembre 1986 a 94 anni. Una delle personalità scientifiche più significative del Novecento, ha lasciato una produzione di oltre 700 titoli. Riguarda soprattutto il vasto dominio delle lingue romanze, ma in particolare l’italiano e in modo speciale i dialetti della Calabria.

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