Giulio Palange
Si, è vero, non ha senso, o per lo meno è banale, proporre di andare «alla scoperta di Gerace» visto che non c’è opuscolo, depliant, guida, etc. che non parli della maestosità della sua cattedrale , «la più grande della Calabria» – e delle tante chiese, chiesette e chiesine che fanno della ‘perla della Locride’, un campionario di architettura sacra, sviluppatasi nei secoli per via di successioni, accostamenti, accumuli di stili che alludono a ben altro genere di successioni, di accostamenti, di accumuli… E allora? Allora è che ‘fruire’ Gerace sulla scoperta degli stimoli offerti dalle pubblicazioni ad uso e consumo turistico può soddisfare, e in genere soddisfa, il voyer che vede quel che gli dicono di vedere, che dopo aver visto mormora magari un wonderfull o altro lecca-lecca del genere, e che dopo aver visto e sbavato… «altra corsa» fra una risciacquata nelle verdi acque dell’Jonio ed una scampagnata sui monti; ma non soddisfa certo chi vuol vedere per ‘capire’.
E non si può andare a Gerace senza disponibilità e capirla, ovvero a razionalizzare perché i suoi monumenti d’arte non sono lì per caso e non potrebbero stare in altro posto; perché sono proprio quelli e non altri; perché fanno un tutt’uno con i palazzi signorili e con le case più o meno dimesse del Borgo e del Borghetto, con le piazze ariose e gli slarghi imprevedibili, con le strade e con i vicoli che si aggrovigliano in se stessi e che Leonida Répaci assimila alle calli ed ai campielli veneziani. Tutto questo uno non lo percepi- sce proprio percorrendo itinerari preconfezionati. Chi vuol capire perché Gerace è Gerace, prima di varcare l’arco delle Bombarde o quello delle Tribune, getti via opuscoli e depliants vari, mandi l’eventuale guida a prendersi un caffè, e si lasci coinvolgere dal ‘contesto’, respiri passo dopo passo gli umori che trasudano da quei muri parlanti, che si rincorrono come un’eco o un richiamo fra vicoli e strade e che raccontano sul filo di sensazioni e di colpi d’occhio che si sovrappongono e che si confrontano, tutta una storia.
E poi, solo poi, diventerà ‘naturale’ e non disgressivo o, secondo casi, d’obbligo entrare oltre che nella cattedrale, nelle chiese, etc., anche nelle case ove la quotidianità è ancora scandita dal ritmo dei telai a mano su cui gesti veloci e attenti guidano i nodi e gli intrecci di arazzi e coperte, e scendere negli antri scavati nel tufo ove i cretai geracesi da secoli rinnovano la segreta sapienza delle loro ceramiche. E allora capire Gerace significherà proprio svolgere il filo che accomuna i suoi monumenti d’arte, ai palazzi signorili, ai vicoli, al ritmico rumore dei telai, alle grotte scavate nel tufo; per arrivare ad intuire – sì, ad intuire, visto che in materia non c’è saggio o trattazione che basti – perché in questo paese della Locride la vita, per dirla ancora con Repaci, “ha ancora la magia delle antiche misure, delle antiche cadenze…”.