Antonio Minasi
La visita di Papa Francesco al campo di Lesbo dove vivono senza un tetto che possa dirsi tale, senza acqua potabile, senza servizi igienici, senza assistenza sanitaria, ci ha mostrato migliaia di profughi – quando il campo ne potrebbe contenere alcune centinaia – in attesa senza tempo di poter oltrepassare quella barriera di filo spinato.
Sì, sono loro gli “spinati” del nostro tempo, merce in balìa di poteri che si fronteggiano spietatamente. Leggevo tempo addietro il reportage da quei luoghi di un autorevole intellettuale francese (ahimè, la memoria mi assiste sempre meno quando si tratta di nomi) che dava conto della assurdità di quella situazione. Raccoglieva, fra l’altro, la prudenza di alcune giovani donne che affermavano di doversi liberare, non oltre il tramonto, dei loro bisogni per non incorrere poi nel buio della notte, uscendo all’esterno dal loro riparo, in spiacevoli aggressioni maschili.
Chiudeva un telegiornale con la visita del Papa al campo di Lesbo e si apriva la pubblicità con il cibo confezionato per gli animali. Per carità, nessuna avversione per gli animali ma questa pubblicità mi mette sempre a disagio pensando alla fame nel mondo. Si decantava il particolare gradimento dei destinatari avvantaggiati anche da quel cibo a mantenere un sano regime diuretico!