I cosiddetti Megaliti di NARDODIPACE sono databili cinquemila anni prima che i Greci arrivassero in Calabria.
Ci si trova dinanzi a grandi assemblaggi che hanno avuto bisogno di tecniche con presenze umane notevoli, megablocchi granitici di grandi dimensioni tra loro sovrapposti, distribuiti in un estesissimo raggio d’azione

Gli incendi in Calabria, ahimè, non godono di buona fama. Molti boschi di cui la regione è ricca negli ultimi anni ne hanno sofferto la violenza distruttiva.

Eppure – quando si dice che ogni male non viene per nuocere – a Nardodipace, piccolo centro, poco più di mille abitanti, sul margine sud-orientale delle Serre calabresi dalla parte ionica, in provincia di Vibo Valentia, all’inizio del nuovo millennio, più precisamente nell’anno 2002, in seguito ad un grosso incendio che, disboscando notevolmente la zona lungo i pendii collinari dai 600 a quasi 1.400 metri, sul deserto di terra bruciata, ha rivelato la presenza di enormi complessi di grandi pietre accorpate fra loro.

Uno scenario inedito quanto mai sorprendente che mobilita subito numerosi studiosi italiani e stranieri.

Fra i primi a giungere a Nardodipace ci sono il prof. Alessandro Guerricchio, ordinario di Geologia all’Università della Calabria, il prof. Winther, archeologo statunitense del Paleolitico e Neolitico europeo, accompagnato dal prof. Bertolini e dal prof. Domenico Raso, studioso dei linguaggi della preistoria e che a questi studi dedicherà la vita.

Esclusa l’origine naturale della costruzione, l’indagine si orienta su ipotesi archeologiche nonché antropologiche molto interessanti. Si aprono scenari di incredibile fascino e di notevole interesse circa l’esistenza di popolazioni di molto antecedenti la colonizzazione delle terre calabresi da parte dei greci.

I due megaliti collocati in due zone distinte sono indicati come Geosito A e B con singolari forme architettoniche che si ripetono da un sito all’altro.

E’ dunque lecito pensare che ci sia stata la mano dell’uomo ma c’è una corrente di pensiero che solleva dubbi sulla teoria di una civiltà che abbia colonizzato questi territori e lasciato un segno quasi indelebile sul territorio.

Il prof. Guerricchio ha individuato una remota orientazione astronomica verso il solstizio d’estate “ma quello del quinto millennio a.C.” E Winther nei segni che sembrano tracciati dal tempo sulle pietre ha visto e letto altro: “questa è la sepoltura di tutti i signori del mare portati qui in navigazione” e aggiunge il prof. Raso “dall’esodo dell’enclave dei Pelasgi durata tre millenni”. Tesi sostenuta anche dal grecista Franco Mosino che ha collegato appunto questa civiltà a quella dei Lestrigoni o Pelasgi descritti da Omero nell’Odissea.

La discussione, oltre a risolversi a favore della tesi antropica qualora si osservino da vicino i megaliti, pare giungere a un decisivo punto di svolta in seguito alla constatazione piramidale di uno dei due, quello denominato con la lettera A costituito dall’accostamento di diverse strutture circolari, simili a cumuli di matrice diremmo celtica, o legata alle strutture megalitiche di Stonhenge. 

Del resto Nardodipace sta a metà tra la terra ferma, o almeno la sua ultima punta e la Sicilia (dove non mancano siti analoghi, anche se le dominazioni successive li hanno cancellati, ma sono descritti nelle cronache medievali (il geografo Idrisi ne è un esempio), ma soprattutto con Malta altro luogo in cui ritroviamo i Menhir e i simboli, quelli sono essenziali, che ritroviamo anche a Nardodipace.

Le pietre di Nardodipace, come quelle di Malta o di Stonehenge “parlano” per così dire la stessa lingua, utilizzano il medesimo alfabeto fatto di rune e gli stessi simboli. Sembrano essere forse l’unica testimonianza di una Civiltà della Pietra, ben più antica forse del V millennio, e scomparsa, di cui i megaliti di Nardodipace costituiscono ad oggi, un unicum in Italia.

Sull’uso religioso, anche qui si potrebbe dissentire, è ovvio, come nel più noto sito inglese, che i siti astronomici, e da cui era pertanto possibile scrutare gli astri con importanti informazioni per la caccia, l’agricoltura, l’avvicendarsi delle stagioni, fossero nel contempo luoghi di culto. L’astronomia stessa rientrava nel culto. Dunque, uno scopo triplice: astronomico, religioso e funerario.

Sono i connotati di un popolo evoluto, possessore di una elevata conoscenza tecnologica scientifica e astronomica, in grado di rendere possibili imprese titaniche come la costruzione degli insediamenti megalitici; ma era anche un popolo che riconosceva il carattere sacro del rapporto con la Natura, venerata come Madre Terra, che era dedito ai culti riferiti proprio agli elementi determinanti i cicli naturali, come il Sole, la Luna e le stelle.

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