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Le ricette “quasi vegane” dei frati di San Francesco da Paola

La cucina di strettissimo magro-senza grasso, uova e latticini.

Un manuale di cucina, in larga parte attualissimo, con circa 500 preparazioni elaborate nel 1880 da Padre Gaspare Stanislao Delle Piane

Gianfranco Manfredi

C’è stato un tempo in cui era il calendario a dettare le regole. Precise e inderogabili. E la scelta di cosa mangiare e cosa escludere dipendeva solo in minima parte dalla coscienza dei singoli. Per secoli i principi base dell’alimentazione erano delegati a quell’elemento capace di influenzare le stesse coscienze, ovvero la religione. Era il caso dei cattolici ma anche di tutte le grandi religioni.

Da tempi antichi i cattolici si astengono dai cibi contenenti carni tutti i venerdì e nella ricorrenza della Quaresima, il periodo è di 40 giorni di astinenza e digiuno che precede la Pasqua.

E ci sono diversi ordini religiosi che hanno adottato da molti secoli regimi alimentari integralmente ispirati alle regole quaresimali. Serviva anche come palestra per esercitarsi nella mortificazione e nella penitenza per il perfezionamento spirituale. Si mortificavano i piaceri della tavola allo scopo di sedare gli “ardori della concupiscenza”, dominando l’ingordigia e, indirettamente, la lussuria. Ma indubbiamente anche in coerenza con la povertà professata.

L’Ordine dei Minimi, fondato da San Francesco da Paola (1416-1507) prevede una vita intensa di ascesi fisica e conversione continua, attraverso la Vita quaresimale osservata tutto l’anno. La loro Regola recita, infatti: “Tutti i frati, di quest’Ordine si asterranno completamente dai cibi di carne e nel regime quaresimale faranno frutti degni di penitenza sì da evitare del tutto le carni e quanto da esse proviene. Pertanto a tutti e a ciascuno di essi è assolutamente e incontestabilmente proibito cibarsi, dentro e fuori convento, di carni, di grasso, di uova, di burro, di formaggio e di qualsiasi specie di latticini e di tutti i loro composti e derivati”.

Per derogare dalla monotonia, però, i precetti religiosi dell’Eremita di Paola sono stati in qualche modo “tradotti”. Lo ha fatto, con estremo rigore ma con altrettanta felice creatività, un libro di ricette totalmente prive di carni, uova e latticini. Ne è autore Padre Gaspare Stanislao Delle Piane, dei Padri Minimi di San Francesco da Paola in Genova, un religioso che poi diverrà Superiore Generale dell’Ordine.

L’opera è stata ora riproposta nella terra del Santo paolano. È una bella riedizione del volumetto pubblicato per la prima volta nel capoluogo ligure nel 1880, ovvero ben 11 anni prima che Pellegrino Artusi desse alle stampe il suo celeberrimo La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene.

Mons. Giuseppe Fiorini Morosini         foto Nicodemo Panetta

Ci ha pensato l’editore Laruffa con una ristampa anastatica che ridà vita a un testo ormai introvabile avvalendosi d’una densa introduzione di Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, arcivescovo di Reggio Calabria-Bova.

Quanto fossero importanti per il Santo di Paola le prescrizioni alimentari adottate, il presule lo sottolinea citando tra l’altro nella sua introduzione un episodio accaduto agli inizi del suo movimento. “Quando venne a Paola, come visitatore apostolico, Mons. Baldassarre de Gustrossis – rammenta – all’osservazione che il suo genere di vita era impossibile da viversi, Francesco rispose prendendo del carbone acceso tra le mani, dicendo ‘A chi ama Dio anche le creature obbediscono’.” Ma Fiorini Morosini propone il ricettario anche con spirito laico: “La ripubblicazione di quest’opera – spiega – non si pone nella linea di coniugare piacere del cibo e salute, ma piuttosto nell’altra di far riscoprire la primaria funzione nutritiva del cibo, senza escludere in assoluto, è chiaro, il piacere del gusto”.                                                    

Scorri le circa 300 pagine del volume e trovi, del resto, una ricca antologia che declina le regole del Santo eremita di gustose proposte.

La cucina di strettissimo magro – senza grasso, uova e latticini composta a comodo del pubblico, contiene ben 476 ricette. È un accurato manuale di cucina che comincia con tre capitoli sulle minestre, rigorosamente divise per stagioni per passare a due capitoli sulle salse: sia fredde che calde, brodi e zuppe. Poi c’è il pesce, che in terra ligure come in Calabria non può assolutamente mancare (tra l’altro consentito nei più rigidi precetti quaresimali), e le verdure, delle quali Padre Gaspare disponeva in quantità grazie agli orti conventuali.                                                                                                                                         

Ingegnoso, quanto attuale, l’espediente usato per superare l’handicap del divieto di grasso o formaggi. Per le mantecature si propone il latticello di pinoli, pestati nel mortaio messi a bagno per qualche ora. Ma si trovano pure consigli per creare un “formaggio” rigorosamente magro a base di mandorle e pinoli e ricette di dolci e liquori.

Può essere non noioso cucinare senza grassi animali, utilizzando bene pesce, frutta secca, olio extravergine d’oliva ed erbe aromatiche… E non mancavano neppure lussuose sciccherie, oggi quanto mai proibitive per ragione dei prezzi esorbitanti. Ecco, così, la ricetta della “frittata di… caviale” che per sei porzioni prevede bel 90 grammi delle preziose, e oggi costosissime, uova di storione.

E che dire dell’”Umido di tartarughe di terra”? Le ricette di preparazioni in umido e brodi, timballi e torte salate, budini, insalate, gelatine e conserve. E, per chiudere in dolcezza, dessert semplici e a base di olio extravergine d’oliva, ingrediente che domina d’altra parte tutto il repertorio di queste preparazioni quaresimali ma gustose.

Infine, il capitolo dei fritti, creativo e golosissimo. D’altra parte la “Tempura”, il fragrante e fantasioso fritto misto in pastella che passa come piatto tipicamente nipponico in fondo non lo è. Forse non tutti sanno che la sua origine è legata alla presenza dei missionari gesuiti nella Terra del Sol Levante.

La storia risale a oltre 400 anni fa, quando i missionari portoghesi arrivarono in Giappone.

Anche i gesuiti osservavano la regola che imponeva l’astinenza dalla carne in alcuni giorni dell’anno: “quatuor tempora”, ovvero il primo mercoledì, venerdì e sabato di ciascuna delle stagioni, consacrati alla preghiera e al digiuno. In quei giorni i missionari si consolavano rendendo più gustosi pesci, crostacei e verdura e così i giapponesi ne copiarono (lo facevano benissimo già allora) la tecnica e il nome. Da allora la Tempura è considerata uno dei più importanti piatti nipponici.

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