Scelse di fare il discorso di investitura in lingua italiana perché quel giorno non era Giovanni Sgrò, ma tutti gli stranieri in Australia.
Antonietta Catanese
Arrivammo nella “sua” Melbourne nell’estate del 2003: io giornalista in missione con la Consulta regionale per l’emigrazione calabrese, guidata dall’indimenticato meridionalista Pasquino Crupi. Lui il navigato senatore venuto da lontano. Giovanni Sgrò aveva da poco dato alle stampe il volume nel quale si era meglio raccontato: Mediterranean Son, Memoirs of a Calabrian Migrant. Me lo donò, con il suo sorriso sornione e quello sguardo che guizzava, vergandoci sopra la sua stima e la sua amicizia.
Della sua storia mi parlò, a lungo, nella hall dell’albergo australiano dove alloggiavamo, e quella intervista fu conservata negli archivi di Pasquino Crupi. Dalla sua Seminara al “terrible journey” della partenza per l’Australia, la storia di Giovanni è un incredibile “romanzo”. Una storia di raro coraggio. “Fino alla fine – disse e scrisse Sgrò – ben consapevole del “prezzo da pagare per non essere stato uno Yes man”. Raccontare Giovanni Sgrò è impresa ardua, ma irresistibile. Farlo con le sue parole – riportate nella sua biografia – ne restituisce il piglio battagliero e fiero. Quello che porterà l’imbianchino di Seminara sugli scranni più alti del parlamento australiano.
Prima di emigrare da Seminara a 21 anni, Giovanni aveva vissuto l’infanzia e la giovinezza in una casa della quale egli, con poche parole, descrive povertà e semplicità: era «composta da una camera, sopra, dove si mangiava e dove dormivano i genitori, e dietro la porta il lettino di mia sorella, da una terrazza di circa tre metri, e da una cucina a fianco, dove si faceva tutto. Sotto c’erano due camere, la camera di dietro, se possiamo chiamarla camera, serviva per tenere l’olio, olive, patate, legna, l’asino, la capra, galline ed ogni tanto conigli, per dare un po’ di carne alla famiglia. Nella camera davanti c’era un letto con due “trispole” e quattro tavole sopra, con il materasso cucito a mano e riempito di foglie di granturco, in questo letto dormivamo io con due miei fratelli».
Subito dopo la seconda guerra mondiale, per sfuggire a quella povertà, erano in molti a lasciare la Calabria. Tuttavia la sua partenza, nel 1952, non fu una libera scelta: «Partire per l’Australia è stato uno scioc (sic) per me. Un anno prima se ne era parlato in casa, che sarebbe stato buono se uno dei figli emigrasse, però se n’era parlato per il Canada, l’Australia non era mai entrata nella discussione».
Quel continente lontano alla fine sarebbe stato scenario di una vita avventurosa, raccontata nella prima edizione del suo “Australia per forza e per amore”, (Qualecultura/Jaca Book nel 1995).
Non partì, come molti, per raggiungere un familiare già emigrato ma, come egli stesso racconta, lasciò l’Italia «con un contratto di lavoro per due anni» che, in realtà, gli garantiva ben poco. Giunto a destinazione fu portato nel centro di accoglienza e addestramento dei migranti di Bonegilla, un’ex base dell’esercito australiano della seconda guerra mondiale dove, fino al 1971, sono stati accolti oltre 300.000 migranti. Arrivò in quel campo proprio quando i migranti italiani e tedeschi stavano organizzando una rivolta che portò allo scontro con la polizia, anche se poi, come egli racconta, portò anche qualche frutto.
Dopo Bonegilla, che lo segnerà per sempre, il 4 luglio 1952, fu mandato a lavorare come imbianchino a Cobram, sul fiume Murray al confine tra Victoria e New Wales.
Nella nuova sede, lui e un suo amico, Armando, lavorarono in una parrocchia della chiesa cattolica:
«Nel contratto di lavoro c’era scritto che dovevamo lavorare 40 ore la settimana per cinque giorni, però il prete ci faceva lavorare sei giorni, incluso il sabato. Quasi tutti i sabati ad Armando lo faceva lavorare da imbianchino, a me mi portava a circa quaranta miglia da Cobram, in un altro paese, dove sua mamma e sua sorella abitavano in una grande proprietà. […] Io ed il prete andavamo il venerdì sera, così sabato mattina, a buon’ora, eravamo pronti a lavorare. Il mio lavoro era di pulire la merda della galline, che puzzava. Il prete, che era più forte di me, lavorava più di me».
Il lavoro era molto e Sgrò si sentiva spesso sfruttato, tanto che decise di trasferirsi in città, dove cominciò a inserirsi nel mondo politico: «A Melbourne mi trovavo bene, ero contento con il lavoro, ho cominciato a farmi un po’ di amici, il lavoro andava bene, cominciavo a fare lavoretti per conto mio, partecipavo alle riunioni del sindacato, che si tenevano ogni mese, ed è stato proprio questo periodo che mi sono interessato un pochino di più della vita pubblica. Certo l’inizio è stato Bonegilla – sottolinea Sgrò – da lì ho cominciato a capire che tanti politici e governi trattano la gente come niente, specialmente se questa gente sono emigrati come eravamo noi, però né a Bonegilla né a Cobram mi era stata data, oppure c’era, l’opportunità di fare qualcosa, a Melbourne sì».
Nella capitale dello stato di Victoria fece amicizia con la famiglia Gilles che, di fatto, lo avrebbe avviato all’impegno politico. Decise di iscriversi al partito comunista. Da quel momento era un militante e non sarebbero mancati i guai: quando tentò di far visita alla mamma malata in Italia, gli fu negato il visto di rientro in Australia. Ci riuscì successivamente, per il viaggio di nozze con la sua Anna Foster, di origine scozzese, e grazie all’impegno del deputato Gordon Munro Bryant, dell’Australian Labor Party, che lo convinse ad aderire al partito laburista.
«L’On. Bryant ed il suo partito hanno lottato per me, per avere la cittadinanza, senza nessun successo, per 15 anni. Solo quando i laburisti hanno vinto le elezioni del 1972, il Ministro dell’Emigrazione di allora, Al Grassby, del Governo Laburista, ha organizzato una cerimonia al Municipio di Coburg, il 26 marzo 1973, per darmi la cittadinanza australiana, e a nome del governo e dell’Australia si è scusato per le calunnie e le ingiustizie che io ho dovuto subire».
L’impegno politico di Sgrò continuò negli anni ed egli si rese anche artefice di una manifestazione all’interno del Parlamento, nel giorno di insediamento della legislatura, per la costruzione di una scuola. Quell’audace impresa indusse i governanti conservatori, avversari, a dichiararlo indesiderato nelle aule parlamentari. Paradossalmente, da allora, maturò la sua candidatura al Parlamento.
Così ricorda: « Dopo tre mesi di lotta tra le correnti del partito, ho vinto io. Tanta pubblicità sulla stampa, dato che è stata la prima volta che un italiano veniva preselezionato per un seggio al Parlamento».
La sua antica contestazione, però, non era stata dimenticata e una mozione vietava il suo ingresso in parlamento a meno che non avesse presentato scuse ufficiali.
Quando l’allora Presidente del Senato, Mr. Fry, gli fece notare che, per quella mozione e pur eletto con la maggioranza assoluta, non poteva giurare, il neo senatore non rinnegò il suo operato e accettò di chiedere scusa solo ad una condizione: che fosse riconosciuta l’importanza sociale del motivo che lo aveva spinto alla protesta in Parlamento. All’inaugurazione della legislatura, dopo che il Presidente lesse la dichiarazione con lui concordata, «ufficialmente l’imbianchino Giovanni Sgrò è diventato Onorevole».
Mai domo, Sgrò chiese subito di pronunciare una parte del suo intervento in aula in italiano e, davanti ad un nuovo diniego, non si arrese, ma affermò «che in Australia ci sono quattro milioni di emigrati di tutte le parti del mondo, e queste persone sono state emigrate e dimenticate, ed il mio motivo è di dare a queste persone un senso di partecipazione, e in più per far conoscere alle autorità australiane che l’Australia, con i suoi 16 milioni di abitanti, è una nazione multiculturale». Solo quando la sua testardaggine di calabrese ebbe la meglio iniziò il suo discorso: «non ho potuto controllare le lacrime… per la prima volta dentro un parlamento dove si parla inglese, e questo non vale solo per l’Australia, ma pure per l’Inghilterra, l’America, il Canada ed altri paesi, una parte del discorso è stato pronunciato oltre che in inglese anche in un’altra lingua».
Sgrò divenne il paladino di tutti gli emigrati, non solo italiani. E non si fermò: promosse l’apertura al pubblico degli austeri giardini del Parlamento della Victoria che, per 150 anni, avevano ospitato solo cerimonie ufficiali: grazie alla «calabresità, di avere la testa dura io non ho ceduto e la festa si è svolta con grande successo. Alla festa ho invitato il Console Generale di Melbourne Dr. Antonio Provenzano, e quando lui ha dichiarato la festa aperta, la banda Vincenzo Bellini ha cominciato a suonare l’inno italiano e quello australiano, tante persone hanno cominciato a gridare “Viva l’Italia”, come pure tanti […] per non imbarazzare me ed altri parlamentari che erano lì, gridarono “Viva pure l’Australia». Un anziano emigrato calabrese, Rocco Schirripa, scrisse per quel giorno due poesie, Calabria nei giardini del Parlamento e Elogio a un calabrese.
Con la vittoria del partito Laburista e la formazione del governo, nel 1982 Sgrò diviene Senatore di maggioranza, ma resta critico, anche con i compagni: «Avendo contatto con la gente e conoscendo i loro bisogni volevo aiutarli al più presto possibile. I miei colleghi erano più teorici; io mi facevo guidare dalle cose pratiche».
Nel 1984, durante una conferenza sul multiculturalismo, avrebbe infine acceso i cuori. E vinto: nel 1985 il “ribelle” diveniva Vice Presidente del Senato, e solo per un gioco di numeri mancava la poltrona più alta. Una nomina – osteggiata persino dai colleghi – con la quale il Governo riconosceva tuttavia, e finalmente, il ruolo di tutti gli emigrati nel tessuto sociale dello Stato: «Ho dimostrato alla Commissione di presiedere molto meglio di qualcuno con tanti titoli e con tante lauree».
Da Vice Presidente Sgrò lavorerà bene, e accoglierà, a nome del Governo, personalità illustri di ogni nazionalità, tra cui Oscar Luigi Scalfaro, futuro presidente della Repubblica italiana.
Fedele a sé stesso, il Senatore. Fino alla fine. Come quando si oppose alla proposta del Ministero delle Finanze di vendere la Banca di Stato, fondata 150 anni prima, perché in grave deficit. E fu forse per quell’opposizione che nel 1991 il Partito Laburista non lo inserì nelle liste elettorali: «Il sistema parlamentare è un sistema pieno di burocrazia. Io sono entrato con l’idea di un rivoluzionario – scriverà Sgrò – e mi credevo che entrando con il potere del Parlamento cambio tutto. Non è stato così. Però essendo parlamentare ho avuto l’opportunità di utilizzare l’apparato del Parlamento e del Governo per aiutare migliaia di elettori».
Un articolo su Il Mondo (The Italo-Australian Newspaper), il 22 novembre 1991, ne annunciava la definitiva uscita dalla scena politica: «Si avvicina inesorabilmente per Giovanni Sgrò il giorno in cui dovrà lasciare le auguste aule parlamentari del Victoria. Alle prossime elezioni, infatti, il suo nome non figura tra i candidati del Partito Laburista per il “Legislative Council. Uscirà con lui dalla scena parlamentare statale – riconoscerà Il Mondo – un personaggio di insolito stampo, un laburista di temperamento mediterraneo, di quelli che, forse, non si trovano più nemmeno in Italia».