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Francesco Cilea. L’incontro con la musica durato una vita

Francesco Cilea, bronzo di Michele Guerrisi (Cittanova 1893-Roma 1963). Museo Francesco Cilea, Casa comunale di Palmi (RC)

Antonio Minasi

Le “radici”, si dice spesso. E sembra, ormai, una espressione abusata. Ma come dire altrimenti quando per tutta una vita, pur attraversando mondi ed esperienze diversissime, si torna ineluttabilmente alla “culla”, a quelle immagini, ai quei luoghi, a quei suoni, che dall’infanzia, dalla giovinezza, si sono impressi per sempre nella memoria?

Fu così anche per Francesco Cilea, “nume tutelare” – assieme all’altro celebre concittadino, lo scrittore Leonida Répaci – della città nativa, Palmi.

Presagendo la fine imminente così scriveva Cilea a Francesco Carbone:

“Signor Sindaco, vi prego di dire alla nostra diletta Palmi tutta la mia filiale riconoscenza e tutto il mio amore. Ditele che essa è e resterà nel mio cuore con un attaccamento tanto più vivo e tenace, quanto più il cumulo degli anni affretta il mio distacco dalla vita”. Ultimo attestato di riconoscenza alla propria terra da cui aveva tratto autentica e profonda ispirazione.

Cilea morirà a Varazze dove ha trascorso gli ultimi anni della vita, ma le sue spoglie mortali saranno tumulate, nel novembre 1962, dodici anni dopo la sua scomparsa, nel monumento-mausoleo che la città nativa gli ha dedicato.

“Cilea ha preso stanza – dirà in questa occasione Leonida Repaci – nella tomba creata da Guerrisi e Bagalà, concludendo così il grande viaggio iniziato il giorno in cui, piccino, lasciò il paese natale per incontrare la Musica nel Conservatorio di San Pietro a Maiella, a Napoli”.

Il tono del discorso di Repaci è solenne, talvolta enfatico, ma si avverte un sentire sincero, la stima, l’affetto, per un concittadino, amatissimo dagli altri concittadini.

Probabilmente, in alcuni passaggi di quel discorso, Cilea, se avesse potuto ascoltare, sarebbe arrossito, o più probabilmente avrebbe abbassato lo sguardo giudicandosi immeritevole di così grande riconoscenza. La sua modestia, infatti, è rimasta proverbiale, fino al limite, in qualche caso, dell’autolesionismo.

Primogenito di cinque figli, Cilea era nato il 23 luglio 1866. Il padre è avvocato e la madre, quando lui ha sette anni, è “colta da irreparabile alienazione mentale”. Viene così mandato in Convitto privato a Napoli, assieme al fratellino Michele al quale resterà legatissimo per tutta la vita. Ma prima di partire, il piccolo Francesco ha già fatto il suo precocissimo incontro con la musica: in casa, grazie alla giovane zia Eleonora che suona il pianoforte e nella Villa Comunale assistendo ai concerti settimanali della Banda cittadina diretta dal M° Rosario Ionata. Che emozione indelebile quando ascolta il finale della Norma! Non ha che quattro o cinque anni eppure quelle note gli resteranno care, un sigillo, per sempre.

Nonostante le resistenze del padre che intravede nel suo futuro la carriera forense, il giovanissimo Cilea manifesta inequivocabilmente la sua naturale vocazione: a nove anni compone già dei piccoli pezzi che dedica alla zia Eleonora “musicale compagna della mia infanzia”. E così, incoraggiato dal M° Ionata e per l’interessamento di un lontano parente, è ammesso al Conservatorio di San Pietro a Majella sotto l’affettuosa ma severissima sorveglianza del conterraneo Francesco Florimo, “amico fedele di Vincenzo Bellini”.

Comincia così una lunga carriera intrisa di successi, incomprensioni, anche amarezze che feriscono il sensibilissimo sentire di Cilea. Alternerà per lunghi periodi la composizione all’insegnamento nei più prestigiosi Conservatori italiani. Ovunque andrà, al momento di ripartire lascerà un sincero rimpianto.

Ma non vogliamo qui tracciare, pur se rapida, la sua biografia. Occorre forse ricordare che ha composto Tilda, Arlesiana, Adriana Lecouvreur, Gloria, opera, quest’ultima, dal Maestro più amata, ma forse più incompresa? Sono titoli e note che risuonano nella memoria e all’orecchio di tutti!

Ci piace, piuttosto, sottolineare quel saldissimo legame con la città natale, che oggi ne custodice la memoria e che per il Maestro fu fonte d’ispirazione per la sua musica.

Nel suo Taccuino segreto, alla data del 14 novembre 1939, Repaci, che si trova a Milano, annota: “Parliamo col Maestro della culla comune, di Palmi. Il compositore ricorda luoghi persone avvenimenti con precisione rara, con affetto commovente. Egli sa di avere a Palmi tanti amici fedeli, tanti memori cuori. Cilea, mentre compone, si libra col risvolto del pensiero sul paese natale, partecipa invisibile alla sua vita, apparenta la sua musica al fruscio dei ruscelli, allo stormire degli alberi, al mormorio del mare, alle sponde, si tiene in comunicazione con lo spirito dei morti e l’anelito dei vivi, fa di Palmi un paese esistente tanto nella geografia dell’anima che della realtà”.

Oggi Palmi custodisce nel Museo dedicato al compositore, nella Casa della Cultura intitolata a Leonida Repaci, tanti ricordi del Maestro: gli spartiti delle opere; le fotografie con le dediche degli interpreti: da Enrico Caruso ad Arturo Toscanini; la raccolta delle delicate miniature del carissimo fratello Michele, morto all’improvviso all’età di 48 anni; e inoltre dipinti, sculture, lettere, riconoscimenti e testimonianze d’ogni genere.

E poi il monumento/sepolcro. Michele Guerrisi ha reso magistralmente onore al Maestro illustrando il Mito d’Orfeo nei bassorilievi delle otto metope e con l’ispirata statua bronzea della Musica che sembra vegliare il sonno eterno del compositore. All’interno del sacello il bel mosaico di Attilio Zagari che raffigura santa Cecilia, patrona della musica; un puttino di bronzo, opera dello scultore Antonio Badolati, regge la lampada perenne ad illuminare il viaggio senza ritorno del Maestro.

Ma Cilea lo si può ritrovare, senza difficoltà, affacciandosi dai balconi del monte S.Elia e guardando lo splendido panorama che va da Capo Vaticano a Punta Milazzo. Sì, perchè le dolci melodie di Cilea sembrano l’ideale colonna sonora degli spazi, dei colori, dell’armonia di questo paesaggio. Riecheggiano “Il lamento di Federico” o “Poveri fiori” o se si preferisce la sua splendida “Serenata”. E non sembri questo un artificio letterario: Cilea  con negli occhi e nel cuore queste care visioni, compose tante delle sue musiche. Basti ricordare che alla Pietrosa, incastonata tra cielo  e mare, nella villa che poi appartenne proprio a Repaci, Cilea lavorò quietamente ed intensamente alla partitura di Adriana Lecouvreur.

“La musica di Cilea, – ha scritto il vecchio Leonida – qualche cosa come un venticello profumato di settembre sul mare di Palmi, disseminato di lampare accese.”

QUI RIPOSA CILEA

 Il Monumento a Francesco Cilea è stato inaugurato il 28 novembre 1962, dopo che la salma del maestro era stata traslata da Varazze dove Cilea si era spento il 20 novembre del 1950.

Ricordo il grande fermento in città e l’aspettativa per quell’evento. Il giorno prima era giunto il feretro e moltissimi cittadini palmesi gli si fecero incontro sull’autostrada per scortarlo fino in città: “Il Maestro è ritornato a Palmi coi fari accesi, ed è bastata la coltre gialla della luce stesa sulla sua bara ad accendere i fari di duemila macchine andate ad incontrarla a Rosarno.” Così esordì Leonida Répaci nella commemorazione ufficale di due giorni dopo.

Il 28 novembre, dopo la solenne celebrazione in Duomo, il Monumento – nel suo impianto di base, opera dell’architetto Nino Bagalà – fu inaugurato con la tumulazione della salma. Un immenso corteo percorse le vie del centro cittadino. C’ero anch’io con il gruppo degli universitari della FUCI. Me ne staccavo spesso per scattare qualche immagine con la mia macchinetta a ricordo di un evento che a tutti ci appariva memorabile. Sono per questo particolarmente affezionato a una foto in bianco e nero, qualitativamente non esaltante, in cui Leonida Répaci poggia protettivamente il braccio sulle spalle della vedova di Cilea, Rosa Lavarello, che gli è seduta accanto.

La sera, al Teatro Sciarrone fu rappresentata  Arlesiana, protagonisti Miriam Pirazzini e Ferruccio Tagliavini con l’orchestra del Teatro Bellini di Catania.

Lamento di Federico
che successo!

Dopo Tilda è la volta di Arlesiana. Cilea completata la composizione dell’opera e si trasferisce a Roma per il lavoro finale di lima e strumentazione. “Quivi in una placida sera proruppero spontanee dal mio cuore le nostalgiche note del ‘Lamento di Federico’, che sostituii subito ad un brano complicato la cui esecuzione mi lasciava sempre più insoddisfatto”.

Nella parte di Federico quando l’opera va in scena, c’è un giovanissimo tenore, scritturato dal Lirico di Milano con 500 lire mensili, e che ha già cantato in altre opere fra l’indifferenza generale. Cilea gl’imbecca la parte, “nota per nota, non senza consigliarli, nei brani delicati, l’impiego cauto della mezza voce”.

La sera del 27 novembre1897, per l’opera e per il cantante è un autentico trionfo, specialmente per il ‘Lamento’ ripetuto più volte in un uragano di applausi”. Il tenore è Enrico Caruso e “il suo nome d’un balzo raggiunse la luminosa sfera della celebrità”.

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