Inoltrarsi nel Canyon delle Valli Cupe può significare lasciarsi avvolgere
in una atmosfera irreale, incontrando una natura incontaminata, a lungo nascosta.
Carmine Lupia, giovane agronomo e botanico del luogo, ha saputo rivelare,
con instancabili esplorazioni, prima ai suoi concittadini, ora alla Calabria
e, non è esagerato dirlo, al mondo intero, il fascino di un mondo fino a ieri segreto
Francesco Bevilacqua
Quando ci sei dentro, senti di penetrare, piano, in un corpo. Come un’immersione nel ventre materno. Cammini su una sabbia grossolana, con le pietre levigate. Tra due ali di roccia altissime. Nella penombra assoluta. Solo quando il sole è alto, filtra un raggio di luce, nel quale impazza il pulviscolo. L’acqua sul fondo è poco più di un ruscello. Scorre da millenni e si rinnova da sempre, mai uguale a sé stessa (lo aveva notato Eraclito, quando avvertiva che non si scende mai due volte nello stesso fiume). Scarsa acqua, che rende il cammino agevole. Eppure è quell’acqua che, in milioni di anni, ha forgiato il Canyon delle Valli Cupe, con la sua lenta, inesorabile forza erosiva. Scavando sempre più in basso il suo alveo, smangiando e levigando le pareti laterali.
Il budello di roccia si snoda per cinque km e mezzo, quasi sotto l’abitato di Sersale, centro agricolo della Presila Catanzarese. Per raggiungerlo occorre scendere lungo un ripido sentiero, che gradualmente penetra in questo habitat unico e originalissimo. Che non somiglia a nessun’altro dei pur molti canyon che le montagne della Calabria, in barba all’ignoranza geografica imperante sino ad un paio di decenni fa, hanno saputo disvelare. Poi si entra nel canyon vero e proprio e se ne risale il corso, in una atmosfera irreale, quasi onirica.
Tutto iniziò nel 2001, allorché Carmine Lupia, giovane agronomo e botanico del luogo, con alle spalle anche esperienze all’estero, decise di esplorare e divulgare il territorio del suo paese d’origine e di quelli limitrofi. Dalle scoperte dei paesaggi, degli habitat, delle specie di flora e fauna che Lupia inanellò anno dopo anno, nacque la cooperativa “Segreti Mediterranei” che da subito si dedicò a organizzare le visite al canyon (ma anche alle altre, molte bellezze naturali della zona), a promuovere l’accoglienza dei visitatori nel paese, a segnare i sentieri. Oggi la cooperativa, è una realtà bella ed efficiente.
Di recente, l’area delle Valli Cupe è divenuta parco regionale. Il parco ricade nei territori dei comuni di Sersale e Zagarise e la gestione è assegnata allo stesso Comune di Sersale. Si estende per 650 ettari spezzettati tra le zone, oltre che del Canyon delle Valli Cupe, anche del Torrente Crocchio, del Torrente Campanaro e del Monte Raga. E comprende sia ambienti fluviali che territori di media montagna, con all’interno anche siti archeologici e storico-artistici.
Le Valli Cupe, in realtà, sono il primo e l’unico esempio in Calabria, di area protetta sorta, di fatto, diversi anni prima della sua istituzione. E qui sta la novità, l’originalità di questo progetto ormai realizzato. Mentre tutte le altre aree protette calabresi sono state calate dall’alto, in molti casi con la furiosa opposizione delle popolazioni locali (le quali, a quanto pare, hanno dovuto ricredersi, alla fine), le Valli Cupe sono nate da un piccolo gruppo di “illuminati” locali, che ha dato vita ad una di quelle cose che io amo chiamare “cliniche dei risvegli”. Risvegli da cosa? Dal “coma topografico” che ha attanagliato per decenni le comunità locali. Rese estranee al loro territorio, al loro paesaggio da quella malattia che ho battezzato “amnesia dei luoghi”.
Per anni, come aveva ben intuito il narratore veneto innamorato della Calabria, Giuseppe Berto, il complesso d’inferiorità della civiltà contadina calabrese rispetto a quella industriale del Nord Italia, aveva fatto dimenticare agli indigeni il valore del paesaggio, che di quella civiltà era parte integrante. Il Parco delle Valli Cupe nasce, quindi, da una rivoluzione copernicana: prima i luoghi sono tornati a essere patrimonio della comunità locale e solo dopo è stato istituito il parco.
Così, non solo il Canyon della Valli Cupe, ma anche quello delle Timpe Rosse, anche le Cascate del Campanaro, anche Cascate dell’inferno, anche i Giganti di Cavallopoli, anche il Gigante Buono, anche la Pietra du Ruvazzo, anche le Gole del Crocchio, anche le cascate del Paradiso, anche i centri storici di Sersale e di Zagarise, anche le rovine di villaggi rurali, casolari, castagnare, sentieri, coltivi, pascoli, boschi stanno pian piano tornando ad emergere da un passato a volte lontanissimo, dal profondo di un inconscio collettivo, di una memoria ancestrale, che rappresentano l’unico viatico possibile per il futuro di questo angolo di montagna appenninica.
Foto di Francesco Bevilacqua