Per rilanciare il Mezzogiorno è necessario risolvere il “problema dei problemi”: provare a porre fine alla fuga dei giovani meridionali dalla loro terra arginando così il depauperamento del capitale umano che affossa il SUD.
Negli ultimi 15 anni i flussi migratori dal Mezzogiorno verso il resto del mondo, hanno visto la partenza di più di 600.000 giovani e più di 240.000 laureati che sono andati a sommarsi a tutta la comunità degli italiani all’estero.
Barbara Becchi
Oggi con il Piano SUD 2030, predisposto dal Ministro Provenzano e presentato prima della diffusione della pandemia da COVID 19, accanto ad iniziative più o meno strutturali di rilancio di investimenti pubblici e privati in una ampia visione della politica di coesione e sviluppo per il SUD Italia, si intende creare la prima vera piattaforma di talenti, conoscenze, esperienze e buone pratiche di meridionali che hanno avuto successo all’estero, al fine di apportare e “mantenere vivo” quel patrimonio di saperi tipici territoriali e di provenienza geografica che caratterizzano il valore di una comunità.
Già SVIMEZ in uno dei suoi ultimi rapporti annuali, aveva parlato di Rete dei talenti per garantire le c.d rimesse nel territorio di provenienza in termini di conoscenze e Know how, con la finalità di favorire la diffusione di una cultura delle politiche di innovazione e della nuova imprenditorialità tecnologica e di sostenere giovani che vogliono restare o ritornare al Sud per dar vita ad una startup.
La pandemia ha accentuato proprio questo aspetto, quello virtuale di incontro e alleanza tra chi è emigrato dal sud e chi nel Mezzogiorno vive e produce. Chi ha deciso di andare fuori del proprio Paese ha evidentemente acquisito un bagaglio di conoscenze e esperienze nei diversi contesti europei e internazionali che può riportare nel proprio territorio di origine, attraverso la propria rete di relazioni che con l’iniziativa della “Rete dei Talenti per il SUD” diventerebbe strutturata e in grado di attivare anche flussi di capitale umano “alla rovescia” verso il Mezzogiorno.
Ciò permetterebbe di superare anche l’immagine del Sud tutto assistenzialismo e immobilismo clientelare che non corrisponde alla realtà. Il desiderio di crescere e imboccare la via dello sviluppo è presente in molti e sono diffusi i tentativi di costruzione sociale, culturale, economica da guardare con molta attenzione. Si deve cercare di individuare e valorizzare esperienze “in controtendenza” in grado di mettere in luce e sostenere quanto al Sud si sta muovendo per l’iniziativa delle persone, pur tra difficoltà di carattere burocratico e carenze infrastrutturali che sono più gravi che nel resto d’Italia.
Per riuscire a realizzare la “rete dei Talenti per il SUD” finalmente si ricorre alla valorizzazione del ruolo delle reti di associazioni, gruppi, forum, dei nostri connazionali all’estero, considerati e consultati purtroppo, spesso, solo durante le elezioni per fini sicuramente meno nobili.
Il coinvolgimento di questi “attori” residenti all’estero, con il loro carico di esperienze, con il loro particolare rapporto con il nostro Paese avviene già tramite reti costituite e gestite dagli emigranti stessi, in proprio, ed è garanzia di “inclusività” sociale che può diventare anche economica, specie nella gestione del post emergenza da COVID 19. Significativo sarebbe che riuscissero a stabilire e mantenere il contatto con le istituzioni, quali ambasciate e consolati cercando di favorire rapporti culturali, economici e commerciali con l’Italia, perché possano così condividere con il Paese “le proprie competenze professionali e culturali”.
Il rapporto presentato da Migrantes a novembre 2019 ha evidenziato come siano quasi 5,3 milioni gli italiani all’estero iscritti all’Aire, con un incremento della mobilità italiana pari a +70,2%, a fronte dei poco più dei 3,1 milioni di iscritti nel 2006. A emigrare sono soprattutto i giovani, circa il 52,2% nella fascia di età 20-39 anni, e gli emigrati italiani hanno, in prevalenza un titolo di studio medio-alto (il 52,6% possiede almeno il diploma).
Questa accresciuta mobilità comporta che le collettività degli italiani nel mondo siano estremamente importanti per accogliere e favorire l’integrazione dei nuovi italiani che vanno all’estero, perché possono creare reti di protezione, favorire l’accesso ai servizi sociali, in modo che i giovani si sentano aiutati e protetti. Ma è altrettanto importante che, una volta integrati, gli italiani possano condividere con l’Italia “le competenze maturate in termini professionali e culturali.
Per questo il governo punta a favorire i collegamenti tra loro e le istituzioni, creando anche condizioni di incontro tra Italia e collettività. Per esempio, ogni volta che si organizzano eventi e manifestazioni (anche e soprattutto on line in piena pandemia, molto più partecipati), si offre la possibilità anche alle aziende e agli enti italiani di conoscere un Paese straniero e viceversa, insieme alle collettività che vi risiedono e che favoriscono questo percorso d’innovazione e potranno essere determinanti ad un piano di rinascita del Sud . Per i giovani sarà più problematico a causa del modo meno strutturato e più liquido di vivere l’associazionismo; quindi si dovrà ripensare un associazionismo diverso che forse dopo l’emergenza del COVID 19 potrà ripartire su basi più vicine a quel mondo virtuale, tecnologico e social tanto caro ai più giovani.
Gli italiani all’estero, tramite le loro reti formali e soprattutto informali, potranno rendersi protagonisti del futuro del nostro paese e diventare attivatori, nei loro territori di provenienza, di coinvolgimento giovanile e informazione a tutta la comunità. Sarà un lavoro di riscoperta dei valori esperenziali e di provenienza territoriale che costituirà il bagaglio strutturale di questa nuova Rete dei talenti sempre più qualificata, che bypassando la sola logica del denaro si baserà sulla “donazione” di capacità.