Raffaele Cardamone

Nomen omen dicevano i Romani antichi: nel nome c’è l’essenza della cosa. Un motto carico di saggezza che viene da lontano e può dirsi pienamente rispettato nella denominazione che fu data, chissà quando e da chi, all’Aspromonte. Il massiccio montuoso che taglia in due la parte più meridionale dell’antica Calabria Ulteriore, separando le due coste: la ionica dalla tirrenica, ma anche, paradossalmente e allo stesso tempo, unendole, essendo un po’ muro e un po’ ponte. Un muro costituito dai monti a volte aspri, proprio come nel suo nome, e pressoché invalicabili; un ponte perché costellato da vallate, da sentieri invece percorribili e da letti spropositati e sassosi di fiumare oggi perlopiù rinsecchite, che dalle alture conducono al mare.

In mezzo a questa catena montuosa, in cui culture diverse e antichissime si sono succedute, installate e sedimentate nel tempo, prima fra tutte quella greca e grecanica, c’è un luogo particolare che colpisce, anch’esso per la sua doppiezza, per la sua duplice identità: quella solo apparente e quella reale; quella dei cliché, attribuiti più o meno forzosamente, di terra “cattiva” e quella che emerge, per fortuna prepotentemente, dalle pagine di una letteratura che meglio di ogni altra cosa la rappresenta, perché prodotta dalla penna e dall’anima dei sui figli migliori.

San Luca e i centri del suo circondario, in Aspromonte, sono cosa “altra” rispetto a ciò che viene, a volte per distrazione e altre volte per comodità, descritto da tanta cattiva stampa e informazione. E se si pensa a San Luca non può sfuggire il nesso immediato, più che con la ‘ndrangheta, con il suo scrittore Corrado Alvaro, che fu un raccontatore instancabile di questi luoghi ma anche uno scrittore internazionale, che ha saputo travalicare il “muro” aspromontano.

Però i pregiudizi su questo pezzo di territorio, come più in generale sulla Calabria, sono duri a morire e risalgono quanto meno ai tempi di Alessandro Dumas, che durante un suo Grand Tour nel Sud Italia, nell’autunno del 1835, arrivò anche in Calabria, ma la descrisse, nel suo personale diario Viaggio in Calabria, come un luogo contraddittorio e a volte poco desiderabile, mettendo in mostra tutte le sue prevenzioni; convinto com’era di incappare in cattivi incontri, e con la sua ossessione per le lenzuola pulite, così rare – sembra – da essere anelate per tutto il viaggio e assicurate solo dall’albergo cosentino “Al riposo di Alarico”, per questo mitizzato come «la terra promessa» dallo scrittore e dai suoi accompagnatori.

Ma anche in tempi più recenti, nel giugno 1995, perfino una troupe televisiva della mitica Bbc, la televisione britannica considerata per antonomasia garanzia di un’informazione autorevole e corretta, si è resa protagonista di una brutta gaffe mediatica, di una vera e propria manipolazione della realtà, quella che oggi sarebbe chiamata una fake-news, abbassandosi a un livello, a dirla con Karl Popper, di «cattiva maestra televisione» e dando vita a un “caso di scuola”, in negativo, nel mondo della comunicazione. La troupe, che stava girando in Calabria una docufiction sul traffico di droga, non esitò a gettare in pieno centro di Reggio Calabria delle siringhe, a suo dire raccolte nelle periferie, per documentare, piuttosto forzatamente, il degrado urbano della città. Quella ricostruzione di comodo della realtà, la ricerca spasmodica dello scoop a tutti i costi, pur in una città e in una terra non esenti da colpe, provocarono indignazione e legittime reazioni, che oggi, purtroppo, sembrano anestetizzate dall’abitudine iniettata da un uso sconsiderato dei social media.

È quindi opportuno riscoprire luoghi come San Luca per i loro valori positivi e non necessariamente per i loro disvalori: qui è nato, ha vissuto, almeno durante la sua infanzia, ed è ritornato con frequenza anche per visitare suo fratello don Massimo, sacerdote nella vicina Caraffa del Bianco e pure lui intellettuale finissimo, un grande della letteratura italiana come Corrado Alvaro. E in alcuni centri vicini, che possono essere considerati aspromontani anche se collocati sulle adiacenti coste mediterranee, sono nati scrittori come Leonida Répaci e Domenico Zappone, entrambi di Palmi, e Mario La Cava, di Bovalino Marina.

L’Aspromonte è quindi un luogo della letteratura, oltre che un’area naturalistica di straordinaria bellezza: è infatti uno dei tre Parchi nazionali della Calabria. La grande biodiversità nei regni animale e vegetale, i geositi che sembrano monumenti scolpiti direttamente dalla mano di un dio benevolo: su tutti la “Valle delle grandi pietre” e la “Pietra Cappa”, le città d’arte come Gerace, con la sua splendida cattedrale, il santuario di Polsi, dalla cattiva fama ma dalle tradizioni cristalline, come testimoniato da un’opera giovanile dello stesso Alvaro del 1912, Polsi nell’arte, nella leggenda, nella storia, ne fanno senz’altro uno dei territori più interessanti della penisola.

Dunque c’è qualcosa da vedere in Calabria, nonostante l’affermazione del solito Alessandro Dumas: «Niente si visita più velocemente d’una città calabrese; eccettuati gli eterni templi di Paestum che restano ostinatamente in piedi all’entrata di questa provincia, non c’è un solo monumento da vedere dalla punta di Palinuro al capo di Spartivento. Gli uomini hanno sempre provato, come del resto è avvenuto in tutti i luoghi, a radicarvi la pietra, ma Dio non l’ha mai sofferto».

Ma a dispetto di quanto scriveva Dumas, che collocava ancora Paestum nei confini calabresi e per la verità attribuiva la responsabilità della supposta carenza di monumenti ai terremoti distruttivi che questa terra ha sempre conosciuto nel corso della sua storia, Alvaro, nella raccolta L’amata alla finestra, scriveva a sua volta: «Qui vive quello stile immobile dei campi rimasto da millenni; e l’atteggiamento d’un albero presso il pozzo, e l’arco di una vite sono la più vera archeologia. Qui dove tracce del passaggio degli uomini sono distrutte, la storia dell’uomo, la sua razza e le sue passioni sono più vive che nei monumenti».

COMMUNITY