Credenti o meno, fu quella volta un prodigio della Madonna del Carmine che salvò Palmi da un terribile terremoto.
Era il 16 novembre 1894
Antonio Minasi
“Oh, Madonna del Carmine!”
Questa invocazione quante volte l’ho sentita! Implorazione e forse pure, qualche volta, imprecazione, ma sempre segno che all’orizzonte di chi la pronunciava c’era comunque quell’immagine, cara a generazioni e generazioni di palmesi.
Mio padre che pure non amava preti e acquasantiere e mia madre, cristiana di dentro e di fuori, tutte e due non mangiavano carne al mercoledì per devozione alla Madonna del Carmine.
Una riconoscenza antica. La certezza che la Madonna del Carmine avrebbe ancora vegliato sollecita sulla città, sulle famiglie, su ciascuno di noi. Non a caso io e mia sorella abbiamo portato a tracolla, sotto i vestiti, l’abitino di stoffa con la sacra immagine, dismesso alle soglie dell’età adulta in cambio di una preziosa medaglia d’oro con l’effigie del Carmelo.
Alla chiesa, anzi al Santuario del Carmine (ma questo riconoscimento ecclesiastico pur se si è concretizzato soltanto nel 1994, anno centenario del miracolo, è come se fosse da sempre, perché l’elevazione a santuario e poi magari a basilica come la Madonna dei Poveri nella vicinissima Seminara, significava la definitiva certificazione di un evento prodigioso di cui i nostri nonni e i nostri genitori non hanno mai dubitato e neppure noi giunti così tanto tempo dopo)… alla Chiesa del Carmine, dicevo, ci si recava, anche se soltanto per la Messa festiva, come in pellegrinaggio, perché lì si trovava un segno tangibile del soprannaturale.
Ancora oggi entro in questa chiesa raccolta, essenziale nella sua bellezza, e corro dritto ad incrociare lo sguardo della Madonna, a scrutare i suoi occhi per confermarmi, una volta di più, che sì, è proprio vero, uno è più aperto dell’altro, traccia inconfutabile del prodigio di quel novembre del 1894: la Madonna del Carmine, in quei giorni, ha chiuso e aperto gli occhi, più volte.
Tutto era cominciato l’ultimo giorno di ottobre, un mercoledì, subito dopo la celebrazione della Messa mattutina. Il canonico Francesco Giuseppe Antonio Barone, in un interessantissimo libretto dato alle stampe appena due anni dopo quegli eventi, così raccontò:
“Una donna del popolo, e dopo di lei ben altre anime pie, nel fervore di sua santa e infocata preghiera, volgendosi tutt’amorosa verso la statua di legno della vergine, esposta alla pubblica e quotidiana venerazione in una nicchia che sormonta l’altare, vibrando i suoi pietosi occhi in quelli della venerata Signora, ebbe ad ammirare un inaspettato miracolo. Ella, tutta convulsa, come accade ad ognuno in simili fenomeni straordinari, vide gli occhi di costei tutti moventi di continuo, e con volto ora splendido non all’usato, ora tinto di mestizia e di pallore, siccome colei che sta per piangere su qualche sventura. A tal visione la pia donna, tutta pallida e smunta, oscilla fra il dubbio e la verità del fatto, fra l’illusione e la realtà; ma quando con lei altre lo affermano ansanti e commosse, cessa tosto l’idea d’illusione ottica ed ha luogo la realtà del nuovo prodigio.”
La notizia del “novello fenomeno” si diffonde rapidissimamente. Fede, curiosità, timore di annuncio di sventura, sono questi i sentimenti che pervadono l’animo di tutti. Ed ora che anche i muri della chiesa cominciano inspiegabilmente a trasudare apparve a tutti chiaro d’essere in presenza di un “segno” misterioso, forse un avvertimento della Madonna, comunque da accogliere con penitenze e preghiere.
E mentre i giorni passavano ed i fedeli si accalcavano in chiesa – mi pare di sentire il mormorio serrato e sempre più intenso delle orazioni e delle invocazioni – ci si chiedeva cosa fare, finché all’alba del 16 novembre una leggera scossa di terremoto non svegliò la città. Intorno a mezzogiorno una replica.
Nel tardo pomeriggio il cielo si offusca; dal lato di Messina sembra avanzare minacciosa la tempesta. Una folla immensa si stringe, ora, intorno alla Madonna. Il moto dei suoi occhi diviene continuo, veloce ed il suo volto esprime una mestizia senza pari.
“Accresciute le strette al cuore – narra il canonico Barone, testimone in prima persona di quegli eventi – raddoppiate le lagrime, moltiplicati i sospiri, altisonanti le grida, più entusiastiche le preghiere, una babele di voci supplicanti che si ripercuotono in tutte le parti del sacrato tempio e fuori, ed una la parola comune e fragorosa al pari di oceano in gran tempesta: – Fuori Maria, in processione Maria.
“Ed ecco in un baleno da gente tremante, convulsa, furibonda, portata appena fatto notte sulle spalle, come su le veloci ali, la santa Immagine per le pubbliche vie, e donne e uomini, e giovani e vecchi, e nobili e plebei, e credenti e miscredenti, e borghesi e militari, quasi tutta la cittadinanza tener dietro alla miracolosa Vergine fra mille canti di pentimento e di dolore. Di tal che il corso maggiore della città, più che altrove messo in piena luminaria, è un’eco assordante e commovente delle voci – Perdono Maria, perdono Maria!”.
Quando il corteo giunse alla Torre dell’Orologio – oggi cancellata per far posto al monumento funebre di Francesco Cilea – proprio nel punto da sempre deputato, fino a qualche anno addietro, per la conclusione dei cortei funebri quando i vivi davano l’estremo saluto al defunto e prima che il carro si avviasse verso il cimitero e un amico di famiglia congedasse parenti ed amici con il rituale ”la famiglia ringrazia” – proprio lì e proprio in quel momento la statua della Madonna, svettante su una folla immensa, chiuse ed aprì gli occhi più volte mentre un terribile boato scuoteva la città strappandola dalle radici.
Immaginarsi l’urlo di paura e di orrore che si alzò dalla folla mentre le case si sgretolavano e una tempesta di polvere s’alzava verso il cielo.
Ma dovette durare poco lo sgomento iniziale. Non appena ci si rese conto di essere rimasti incolumi mentre tutto intorno rovinava dovette alzarsi possente, fra le lacrime, un grido trasmesso di bocca in bocca da chi era più prossimo alla Madonna fino alle ultime propaggini di folla: “Miracolo! Miracolo!”
Mio padre che soltanto due giorni prima aveva festeggiato un mese di vita, pur essendo rimasto a casa, si salvò. La sua abitazione fu tra le poche in grado di opporsi alla furia devastante del terremoto. Ma non fu certo merito, la sua salvezza, di chi quella casa aveva progettato e costruito, ché mio padre fino al termine dei suoi giorni portò gratitudine alla Madonna del Carmine.
Chissà che età aveva quando dai suoi genitori ascoltò, per la prima volta, forse con stupore, il racconto di quell’evento meraviglioso. Certo ne restò segnato profondamente se a noi figli ha trasmesso intatto il sentimento che l’occhio del Cielo vigila su noi tutti.
Da allora un’edicola sulla facciata di casa Mezzatesta, all’inizio di Corso Garibaldi, ricorda il punto esatto dove si verificò il prodigio della Madonna che chiuse ed aprì più volte gli occhi mentre un terremoto terribile annientava la città ma era salva la folla dei fedeli in processione.
Era il 16 novembre 1894. E qui è il punto d’approdo della processione, il 16 novembre di ogni anno.