Natuzza Evolo nasce a Paravati, una frazione del comune di Mileto, il 23 agosto 1924, ma non ebbe mai la fortuna di conoscere suo padre, Fortunato Evolo, che era intanto partito dalla Calabria per l’Argentina in cerca di lavoro, proprio qualche mese prima che lei nascesse.
La bimba cresce invece con la madre, Maria Angela Valente, e con i nonni materni, Antonino Valente e Giuseppina Rettura ma le condizioni della famiglia sono così povere che la bimba dovrà adattarsi a vivere per strada, chiedendo spesso l’elemosina.
Man mano che gli anni passano Natuzza dovrà accettare di stare sempre di più chiusa in casa, e quando sua madre viene arrestata per un furto di galline e portata in carcere, Natuzza dovrà accollarsi il peso di fare soprattutto da mamma ai suoi fratellini più piccoli.
Cinque in tutto. Domenico, Antonio, Francesco, Vincenzo, e Pasquale. Erano stati partoriti dalla mamma nel periodo in cui suo padre Fortunato Evolo era ancora in Argentina, dunque “figli di nessuno”, ma a cui Maria Angela Valente aveva comunque imposto il cognome del marito, Evolo, e forse, proprio per questo, lui non fece mai più ritorno in Calabria.
Tutto questo, per Natuzza, significherà soprattutto, dovendo lei restare a casa e fare da mamma ai fratellini, niente asilo, niente scuola, e nessuna forma di istruzione, una sofferenza intima che Natuzza si porterà dentro per tutta la vita.
All’età di 12 anni la sua vita cambia radicalmente.
La ragazza infatti è assunta come cameriera a Mileto nella casa dell’avvocato Silvio Colloca, dove Natuzza incomincia a manifestare, e soprattutto a raccontare, i primi “segni straordinari” di una esistenza e di uno status fisico che poi, per tutto il resto della sua vita, faranno di Natuzza Evolo la protagonista inconsapevole del mondo dei media.
Un vero e proprio mistero, dunque, inspiegabile e indecifrabile, rimasto sotto la lente di ingrandimento di studiosi e uomini di Chiesa, ben custodito e ancora sotto osservazione negli archivi più remoti del Vaticano, dove per via del processo di beatificazione, ormai avviato, il caso “Natuzza Evolo” è analizzato, vivisezionato e studiato in tutte le mille sfaccettature possibili.
“Una sera – raccontava Natuzza – dopo aver chiuso il portone, non appena mi ritirai nella mia camera, vidi entrare delle persone vestite come noi, le quali mi dissero di essere anime dell’altro mondo. Ebbi una grande paura e scappai gridando”. L’avvocato Colloca pensò allora che Natuzza fosse “invasa dagli spiriti”.
Il giorno dopo l’accompagnò in Chiesa, perché il parroco la benedicesse, ma ritornata a casa “mi si presentò un tale – ricordava ancora Natuzza – e mi disse di essere San Tommaso: Sollevò la mano per benedirmi e mi disse: “Ora ti do un’altra benedizione, i defunti da oggi in avanti li vedrai sia di giorno che di notte”.
Man mano che gli anni passano, la sua casa, appena alle porte di Paravati, affacciata sulla provinciale che collega Mileto a Rosarno, diventa presto meta di pellegrinaggi a volte anche incontenibili e continui.
È il 1958 quando, in periodo di piena Quaresima, la gente di Paravati grida per la prima volta al miracolo: sulle mani di “Tuzza”, così come la gente del luogo l’ha chiamata per anni, compaiono le stigmate.
Da allora, quelle cicatrici non le si rimargineranno mai più.
Ogni anno, puntualmente, durante la settimana di Pasqua, le ferite le si riaprono, riprendono a sanguinare, diventano sempre più doloranti. Prima le compaiono i buchi alle mani, poi ai piedi, poi ancora alle ginocchia. Per lei sono giorni di grande dolore fisico, e di grande prostrazione psichica, e la Settimana Santa è il periodo più triste e più doloroso dell’anno.
Le testimonianze dei medici
Francesco Mesiano, uno dei primi e più attenti studiosi di Natuzza Evolo, ricorda che fin da giovanissima Natuzza mostrò segni particolari: “è una donna che vede i defunti e conversa con loro, che va in trance, che ha sudorazioni ematiche, più evidenti durante la Quaresima, che vive anche il grande mistero delle stimmate. Il sangue che sgorga dalle sue ferite, a contatto con bende o fazzoletti, si trasforma in segni strani, a volte incomprensibili, in testi di preghiera in varie lingue, in calici, ostie, Madonne, cuori, corone di spine. Insomma, siamo in presenza del mistero più assoluto”.
Le testimonianze dei medici che per lunghe stagioni della vita hanno seguita da vicino Natuzza Evolo, e l’hanno visitata in continuazione, sono sconcertanti. “Ricordo come fosse ieri- diceva il dott. Umberto Corapi, aiuto ortopedico all’ospedale di Lamezia – visitai Natuzza qualche giorno prima di una Pasqua di tanti anni fa; la cosa che più mi colpì fu il constatare la comparsa sul suo cuoio capelluto di una corona di spine, una corona di sangue.
Una di queste gocce di sangue che colava sulla tempia di Natuzza andò a finire sul cuscino. Straordinario. Come se vi fosse una penna invisibile quella goccia disegnò a caratteri stampatello la frase “Venite ad me Omnes”. È un ricordo che da allora mi accompagna in ogni momento della mia vita”.
“Ho assistito Natuzza Evolo – raccontava la dottoressa Isa Mantelli – per due anni di seguito, nel ’79 e nell’80, sempre il Venerdì Santo. Per tre ore, dalle dodici alle quindici ricordo questa donna tormentata da indicibili sofferenze e da una sempre crescente difficoltà a respirare, come di chi stesse per morire per asfissia. Alla fine, diventa cianotica e il corpo è squassato da tre forti convulsioni”. Sembra quasi morta, poi pian piano si riprende.
Un giorno i medici scoprono un particolare che in passato era sfuggito alla loro attenzione:
“Era sempre Venerdì Santo – ricordava ancora il dott. Umberto Corapi- decidemmo di esaminarle le spalle e ci accorgemmo che sulla spalla destra stava formandosi un ematoma escoriato. Dal punto di vista medico fu una cosa impressionante, ricordo questa spalla diventare sempre più violacea finché non si formò l’ematoma. Assistemmo alla progressione di questo ematoma, come se sulla spalla di Natuzza qualcosa gli pesasse contro.
“Quando riprese conoscenza le facemmo molte domande, ci rispose di aver visto la crocifissione di Gesù…. Ma qui c’è un particolare che solo pochissimi conoscono e di cui Natuzza non amava molto parlare.”
“Tornai da Natuzza – ricordava il dr. Mario Cortese – qualche giorno dopo la settimana di Pasqua, e le chiesi “Com’è la croce che Gesù ha portato al Calvario? Come quella che c’è nelle nostre chiese?”. Natuzza mi rispose: “Assolutamente no, era completamente diversa. Era come un tronco, come un giogo, quando siamo giunti lassù abbiamo trovato l’altra parte già infissa nel terreno”.
Di testimonianze come queste se ne contano infinite. Il prof.Valerio Marinelli, fisico nucleare, docente emerito all’Università della Calabria, le ha catalogate, analizzate, raccolte, e raccontate tutte in una decina di saggi tutti dedicati al “Caso Natuzza”, l’ultimo appena fresco di stampa è, interamente dedicato al fenomeno delle “bilocazioni” che immaginano Natuzza Evolo “viaggiare per il mondo”, pur non essendosi mai lei mossa da Paravati.