In una delle ultime interviste che Natuzza Evolo aveva scelto di rilasciare ai microfoni della Rai, la mistica di Paravati racconta nei minimi dettagli e con una serenità senza pari.
A Paravati sorge una grande basilica che presto sarà consacrata, verrà aperta al culto, e diventerà per come Natuzza aveva sempre sognato e sperato in vita, meta di pellegrinaggi di preghiera. il giorno in cui per la prima volta le apparve la Madonna e le chiese di adoperarsi per far sorgere di fronte alla sua vecchia casa di campagna una grande Chiesa. Dopo quasi 60 anni da quel giorno, e dopo la sua morte, oggi.
Bastava essere a Paravati poco meno di un anno fa, il giorno dei defunti, per capire quanto questa povera contadina calabrese abbia lasciato agli altri, con il suo esempio e la sua testimonianza terrena. A ricordarla, ma soprattutto a pregare sulla sua tomba nell’anniversario della sua morte sono venuti in ventimila, e da ogni parte del mondo, sono i figli della speranza, è gente che per tutta la vita ha avuto con Paravati e con la casa di Natuzza un rapporto forte, e che rimarrà legata a Natuzza per tutto il resto della propria vita.
Per chi avesse ancora voglia di risentirla Natuzza la si ritrova ancora oggi più presente e più serena che mai sulla rete, su Youtube migliaia di persone ogni giorno tornano e corrono a guardarla, a parlare con lei, a chiederle magari qualcosa, ed è sempre la rete a restituirci frammenti delle sue dichiarazioni in televisione.
La storia personale di Natuzza Evolo sembra quasi una favola. Don Michele Cordiano, che è uno dei sacerdoti che in questi anni gli è stato più vicino, la racconta in questo modo, e la racconta con le lacrime agli occhi, perché per lui Natuzza era più che una mamma: “Natuzza nasce il 23 agosto 1924 a Paravati, frazione di Mileto, un paesino di tremila abitanti nella provincia calabrese di Vibo Valentia. Il papà, Fortunato, non l’ha mai conosciuto, perché alcuni mesi prima della sua nascita era partito per l’Argentina e lui non è più ritornato. Sua madre, Maria Angela Valente, ha dovuto arrangiarsi per racimolare un pezzo di pane, quando non era la piccola Natuzza, che era il diminutivo di Fortunata il suo vero nome, a doverlo mendicare al forno del paese. La bimba cresce quindi in queste condizioni precarie, senza mai andare a scuola, quasi facendo da mamma ai fratelli”.
Ma quando Natuzza incomincia a vivere i primi fenomeni straordinari?
Don Michele è un fiume in piena: “Aveva appena otto anni quando Natuzza riceve per la prima volta la “visita” straordinaria di san Francesco di Paola, il grande santo calabrese, patrono della gente di mare, e poiché questa visione le sembra una cosa del tutto normale Natuzza la racconta ai suoi familiari con una naturalezza che incomincia a preoccupare il piccolo mondo che attorno a lei già allora si muoveva. Ma da quel primo racconto ne seguirono tanti altri. Quando Natuzza riceve la prima Comunione si accorge che la sua bocca è piena di sangue. Lei lo inghiotte, pensa di ‘aver mangiato’ Gesù e di aver fatto peccato, lo racconta a tutti, ma il parroco la rassicura. Erano i primi segni di un’anima privilegiata, che si moltiplicheranno qualche anno più tardi quando, verso la fine del 1938, Natuzza prende servizio nella casa dell’avvocato Silvio Colloca a Mileto. A quell’età Natuzza è una ragazza sveglia, svelta nei mestieri di casa, molto obbediente e schiva, che presto conquista la fiducia dei Colloca”.
E qui si verifica il secondo evento straordinario della vita privata di questa giovane domestica.
“Un pomeriggio, quando la signora Alba Colloca offre il caffè ad alcuni ospiti, Natuzza le chiede con grande naturalezza come mai non lo avesse dato anche al sacerdote. «Scusa, ma quale sacerdote?» le risponde la signora. «Quello che sta seduto con gli altri due signori» le risponde Natuzza. La signora torna in salotto, riferisce l’episodio e uno dei due ospiti racconta che suo fratello, morto da anni, era un prete. Chiamano Natuzza e lei incomincia a descriverlo alla perfezione. Non potevano esserci dubbi. Era lui. Un altro giorno invece la sentono bisbigliare: «Attenti a non far cadere quei bicchieri, sennò la signora mi sgrida!».
La padrona di casa le chiede con chi stesse parlando e lei di rimando risponde che stava parlando con alcuni angeli che erano venuti a trovarla.
All’età di quindici anni, torna a casa Colloca dopo aver ricevuto la Cresima, e si accorge che ha la maglietta bagnata. Se la toglie e scopre che sulla parte interna della maglietta le si è formata una grande croce di sangue.
Don Michele sorride. “Non penserà davvero che quella dei Colloca sia diventata nel tempo la casa degli spiriti?” Eppure, la famiglia dove Natuzza presta servizio incomincia a preoccuparsi di tutto questo.
“La sera, durante la cena, i coniugi Colloca discutono sottovoce di cosa fare di quella ragazza così tanto buona ma anche così tanto strana, e adombrano l’idea di rispedirla a casa sua, a Paravati. Ma quando la signora Colloca entra nella cameretta di Natuzza per parlarle, la trova in un mare di lacrime. Fra un singhiozzo e l’altro Natuzza dice alla sua padrona: «È venuta a trovarmi una signora, mi ha detto che è sua madre, e mi ha raccontato che voi volete cacciarmi di casa!». La signora Alba la rassicura, pur sapendo di mentire. Ma il giorno dopo Natuzza le chiede: «Perché vostra mamma parla con la voce abracatizza?». La signora quasi sviene: sua madre era infatti morta alcuni anni prima di un tumore alla gola e quindi parlava con la voce roca, in dialetto appunto, abracatizza. E quando le mostra una foto della mamma scomparsa, Natuzza non ha dubbi: «Sì, è proprio questa donna che è venuta a trovarmi ieri sera».
Francesco Mesiano, uno dei primi e più attenti studiosi di Natuzza Evolo, scrive che fin da giovanissima Natuzza mostrò segni particolari: è una donna che vede i defunti e conversa con loro, che va in trance, che ha sudorazioni ematiche, più evidenti durante la Quaresima, che vive anche il grande mistero delle stimmate. Il sangue che sgorga dalle sue ferite, a contatto con bende o fazzoletti, si trasforma in segni strani, a volte incomprensibili, in testi di preghiera in varie lingue, in calici, ostie, Madonne, cuori, corone di spine. Insomma, siamo in presenza del mistero più assoluto. Un mistero che dopo la sua morte è rimasto tale e quale, chiuso per sempre nei forzieri del Vaticano dove oggi il caso Natuzza Evolo viene analizzato e studiato in tutte le sue mille manifestazioni.
Nel 1941 Natuzza lascia la famiglia dei Colloca e va ad abitare nella casa della nonna materna.
Pensa in un primo momento di farsi suora, ma viene presto dissuasa: è troppo povera e poi quei suoi fenomeni così strani e incomprensibili avrebbero turbato la vita di qualsiasi convento.
Il giorno del suo funerale arrivano a Paravati migliaia di persone da ogni parte del mondo. È gente che da sempre ha un rapporto diretto con la donna delle stimmate, è gente che sente di essere stata chiamata direttamente da lei, nel giorno probabilmente più felice della sua vita terrena.
Una fila immensa si forma davanti al suo feretro, tantissime donne, tantissimi sacerdoti, tantissimi giovani, tantissime ragazze, che tengono per mano donne meno giovani, le mamme, le zie, le nonne, le sorelle, generazioni e generazioni di cinque continenti diversi, si riversano nella radura che fino a poco tempo fa era soltanto una cava di argilla, e che oggi invece si prepara ad ospitare una delle basiliche più grandi d’Europa.
La cosa che più emoziona è che nessuno piange, e il funerale di Natuzza diventa come d’incanto una festa corale, una preghiera comune, un inno alla vita. I suoi gruppi di preghiera si sono ridati appuntamento nello stesso posto dove 60 anni prima la Madonna sarebbe apparsa a Natuzza per chiederle di costruire lì la sua Chiesa.
Natuzza riceveva tutti in una piccola stanza, eternamente vestita di nero. Appena entravi ti chiedeva perché tu avessi fatto tanta strada… Come d’incanto la sentivi più vicina, più di quanto potessi immaginare…
Molti venivano fin qui solo per vederla, per scambiare con lei qualche parola, molti non sapevano neanche cosa chiederle, le parlavano dei figli, del marito, dei genitori, del lavoro… lei ascoltava in silenzio, poi affidava a chi le stava di fronte il suo messaggio di preghiera.
Da quella stanza molti sono usciti con le lacrime agli occhi, altri hanno mostrato un volto raggiante, altri ancora con il desiderio di voler tornare al più presto… Un mistero che neppure studiosi e scienziati, arrivati a Paravati da ogni parte del mondo, sono riusciti a chiarire.