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L’emigrante-imprenditore che s’innamorò dell’arte contemporanea

Carlo Bilotti, da Cosenza a New York, strinse saldi legami, come amico e come committente, con gli artisti che hanno fatto la storia dell’arte contemporanea. Roma e Cosenza ospitano ora le preziose collezioni che egli ha voluto donare alle due città

 

Maria Frega

Se esistono tanti tipi di collezionisti fra questi un grado di eccezionalità è da riconoscere al calabrese Carlo Bilotti il quale dimostrando un animo da collezionista esperto comprò il suo primo Giorgio De Chirico all’età di ventidue anni. Nato a Cosenza nel 1934 poté acquistare arte grazie alla fortuna accumulata in America nel business dei profumi ma anche perché conosceva alcuni dei grandi protagonisti dell’arte contemporanea: Larry Rivers, il calabrese Mimmo Rotella, l’americano Andy Warhol che curiosamente, come ci informa lo stesso Bilotti in una video-intervista, conservava del profumo nelle bottigliette di una nota bibita.

Collezionò con grande fiducia in sé stesso senza servirsi di alcun consulente, non comprando mai con un piano prestabilito ma solo per il desiderio di possederle.
Vero è anche il fatto che, dolorosamente, quel potere esclusivo nei confronti di un’opera dopo la morte prematura della figlia si tramutò in donazione.

Legò nuovamente il proprio destino alla Calabria, lasciò al Complesso Monumentale di Sant’ Agostino (oggi sede del Museo dei Brettii e degli Enotri) della città di Cosenza nel 2005 parte delle opere raccolte di Picasso, Chagall, Ernst, Greco, Mirò, Severini, Tapiés, cosa che successivamente farà anche con la città di Roma creando un nuovo spazio espositivo – L’Arancera da lui restaurata – all’interno di Villa Borghese per la collezione De Chirico, ed anche ideando il Museo all’ Aperto Il MAB (Museo all’Aperto Bilotti) è un’operazione di grande intelligenza quando sposta la fruizione di una iniziativa culturale da un campo quasi sempre elitario e ristretto ad alcune fasce di popolazione e lo si trasporta lo si realizza su di una strada qualunque, il Corso Mazzini di Cosenza, ad esempio. Questo eco-museo come moltissime altre realtà in divenire mostrano il progetto ambizioso della Calabria di inserirsi nel contesto dell’arte contemporanea.
Corso Mazzini è stato progressivamente trasformato in isola pedonale per ospitare la collezione di sculture che Bilotti ha donato alla città. Passeggiando ci s’imbatte con un cardinale di Manzù, con tre esemplari di De Chirico e poi, Pietro Consagra, Sacha Sossno, Emilio Greco, Mimmo Rotella con “Il lupo della Sila”.
Dalla città calabrese a Roma, perciò, la testimonianza di un imprenditore pragmatico, di successo, ma pure generoso e propositivo. Un emigrante che si è saputo aprire alla cultura internazionale facendone partecipe anche la sua città di origine. E grazie a lui anche la Calabria può oggi vantare testimonianze significative dell’arte del’900.
È interessante ripercorrerne la storia di Carlo Bilotti. Era nato in una famiglia di
nobili ascendenze, da Mario e da Edvige Miceli dei baroni di Serradileo. Aveva studiato a Napoli e a Palermo, impiegandosi poi nelle industrie familiari nel settore delle cartiere.
Verso la fine degli anni ’60, come lui stesso racconta in un video installato nel Museo, si trasferisce negli Stati Uniti “per due motivi: perché non volevo prestare il servizio militare e perché stavo scappando dalla mia ragazza italiana”. A New York frequenta i corsi della Columbia University e in quella città sceglie di fermarsi, dopo il matrimonio con Margaret Embury Schultz e dopo essere diventato vicepresidente di una multinazionale attiva nel campo della cosmetica che lo costringe a frequenti viaggi in Europa: un successo professionale dopo l’altro, con il lancio di profumi e trattamenti fra i più ambiti dalle donne di tutto il mondo.

Gli intensi impegni di lavoro non impediscono però, all’imprenditore e finanziere, di coltivare le amicizie e stringere rapporti con gli artisti più in voga, in particolare con Andy Warhol autore di “Tina e Lisa Bilotti” (1981) ritratto della moglie e della figlia di Carlo, uno di quei dipinti elaborati da una fotografia, come fece l’artista per Marilyn Monroe, per Mao, ma anche per Gianni Agnelli e per Gianni Versace. L’elegante elaborazione foto-pittorica del genio americano, mostra la somiglianza fra le due donne, quasi un’emulazione della più giovane verso la madre, entrambe impeccabili nei loro volti eterei vivacizzati dal rossetto: rosso per la signora, più tenue per la fanciulla. Quanto l’avrà contemplato Carlo, quel ritratto, nel 1989? A otto anni dalla commissione dell’opera, infatti, una delle due donne scompare: è Lisa, la figlia, morta per la stessa malattia che, vent’anni dopo, si porterà via Carlo.

“Le uniche cose che restano dopo la morte sono le opere donate alla comunità”.

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