Giacomo Zeno
Se il sapore di un grappolo d’uva, che serve da colazione con il pane fatto in casa, diventa un ricordo ricorrente, ti riporta, ad una scala di granito a fianco della finestra dalla quale si intravede l’uva appena raccolta e gli uomini a pestarla; il suono ritmico delle presse, l’odore dello zolfo che serve a preparare i tini: sensazioni mai dimenticate…
Forse per questo – e per dare un seguito alla storia che racconta di vigneti bassi e ordinati nei terreni di Nicotera – che matura il desiderio, a partire dall’anno 2000, di riproporre nella casa di famiglia lasciata da oltre quaranta anni, e nel terreno intorno, la coltivazione di un vitigno che “nasce lì”, conosce la natura del terreno e sa approfittare della brezza del mare visto in lontananza.
Per il vitigno nessun dubbio: la nonna ha sempre puntato sul magliocco e al magliocco ci si rivolge senza esitazione. E che nome dare al vino?
Il libeccio soffia da sempre sulle coste calabresi. Ma stavolta, oltre alla brezza umida, ha portato un’idea vincente: quella del nuovo vino che prende il suo stesso nome in vernacolo, Libici. Una sfida aperta alla “sapienza “contadina che avverte che Libìci mai bbeni fici. Il libeccio non ha mai fatto bene ma stavolta, però, va aggiornato perché ormai Libìci è anche il nome di uno dei più interessanti vini calabresi. Un magliocco canino prodotto da Casa Comerci, azienda agricola di Badia di Nicotera.
L’idea del nome è venuta da un bravo ristoratore, Salvatore Pavia, titolare del ristorante Peppino il Pescatore di Ricadi. La suggerì a Domenico Silipo, il fondatore (anzi, ri-fondatore) di Casa Comerci, che la approvò subito.
E’ nato così un vino dal raro bouquet floreale, dal colore leggero, dal sapore rotondo e strutturato. Adatto ad accompagnare ogni tipo di pasto, si esalta con i primi piatti dai sapori forti, le carni rosse e i formaggi stagionati. Se a tavola c’è un bel piatto fumante di pasta fatta in casa (a fileja), magari condita con ragù di maiale, allora il Libìci darà il massimo al nostro palato. Prima la schiettezza, poi l’eleganza: potrebbe essere questo il suo motto. Le sue uve contengono infatti i sapori che il libeccio porta dall’Africa e che sono mitigati sulle colline aperte verso la Piana di Rosarno.
Un’altitudine di circa 250 metri, quanto basta per aprire lo sguardo all’orizzonte. Il vento la fa da padrone, dove l’occhio si perde tra l’azzurro del Tirreno e il verde delle Serre. Da sempre lì si coltiva la vite. Filari bassi e ordinati, che anche nelle giornate più calde trovano nutrimento nelle zolle che trattengono il fresco dell’acqua piovana.
Un posto del genere valeva la scommessa di far risorgere ciò che apparteneva ormai soltanto alla memoria familiare. E così Silipo, che aveva lasciato la Calabria oltre 50 anni fa per esercitare in Emilia la professione di avvocato, torna nella casa del nonno. Francesco Comerci alla fine del 1800 aveva già le vigne e produceva il vino di Nicotera, quello «formato nell’argilla e scolpito nella pietra». Quanti ricordi!
Si comincia da capo, piantando il vitigno magliocco, la qualità autoctona che più si adatta al luogo. La pianta è generosa, produce grappoli dai chicchi radi, con acini di colore blu scuro e dalla buccia spessa. A guardarli sembrano l’emblema stesso della Calabria. Hanno un aspetto forte, quasi rude, che nasconde un’anima delicata. Eppure non è facile «addomesticarli».
Anni di tentativi, fin quando finalmente arrivano i risultati. Grazie, tra l’altro, all’apporto della moderna tecnologia. Nel vigneto, una stazione meteo per conoscere in tempo reale pioggia, umidità, temperatura del suolo e dell’aria.
Si misura la bagnatura fogliare e l’evapotraspirazione, in modo da realizzare una viticoltura ragionata e rispettosa dell’ambiente.
Nell’antica cantina di pietra le vecchie botti sono sostituite con serbatoi in acciaio inox di ultima generazione, la vinificazione è a temperatura controllata, come tutto dai computer.
Casa Comerci è oggi un piccolo gioiello tra i marchi della tipicità agroalimentare del Mezzogiorno. La scommessa è vinta, ma la sfida continua. Si realizza una nuova cantina, più grande, interrata quasi totalmente nel declivio della collina che guarda il mare. Intanto l’azienda sperimenta una prima diversificazione della propria offerta, con una piccola (per il momento) produzione di Greco di Bianco, fine pasto tipicamente calabrese.
Non solo vino, però. Sull’antica proprietà e sul nuovo fondo Sant’Andrea ci sono anche gli ulivi. L’olio che se ne ricava è un monocultivar ottobratica di coltivazione biologica. Per chi se ne intende diciamo che contiene pochissimi perossidi e molti polifenoli. Ciò vuol dire garanzia di grande qualità.
E poi va assaggiata la vinaccia, una grappa leggera e profumata. «Proprio come la rugiada del mattino» dice Domenico Silipo «e per questo l’abbiamo chiamata Acquazzina, un altro termine preso in prestito dal nostro dialetto, perché ci teniamo a richiamare sempre le nostre radici».
Nicotera è divenuta l’emblema della dieta mediterranea, risultato delle ricerche scientifiche condotte dal 1957 al 1969 dall’equipe di studiosi guidati da Ancel Keys – antropologo e scienziato americano esperto di malattie vascolari – e ribadite da studi dell’Università romana di Tor Vergata. Sbarcando in Calabria dal Minnesota, Keys verificò che la popolazione che si nutriva semplicemente con pane, olio, cipolle rosse di Tropea e pomodori, era molto più sana dei pasciuti cittadini di New York.
Lo studio pilota della Dieta Mediterranea di Riferimento portò così alla codificazione di questo importante regime alimentare.