Nella  grotta di S. Elia Speleota da mille anni sgorga l’acqua miracolosa

 

Paolo Martino*

Ad Ashcroft, nello Stato del New South Wales, Australia, a 35 kilometri a sud-est di Sydney, c’è una chiesa cattolica intitolata a Sant’Elia Speleota (Elizabeth Drive, Mount Pritchard NSW 2170).

È la traccia lasciata dalla grande comunità di immigrati calabresi formatasi in Australia nel dopoguerra. Retta da un parroco spagnolo, la chiesa è divenuta ora San Elías Espeleota.

Una fedele di lingua spagnola scrive nel suo blog: «San Elias, intercede por los enfermos. Este año me toco trabajar y conocer a este santo». L’11 settembre, celebrando la festa del santo eremita, anche la comunità melicucchese di Sydney canta: «Santu Lia di Melicuccà / li meraculi li fa /senza pregatu».

Il santo “emigrato” in Australia è uno dei più venerati eremiti basiliani, vissuto nel X secolo e divenuto, già in vita, maestro di uno stuolo di santi che hanno popolato le regioni meridionali fondando a loro volta altri monasteri in Calabria e in Lucania.

Il complesso rupestre

Sul fianco di una vallata tra Melicuccà e Sinopoli, nell’Aspromonte settentrionale, lungo la linea dismessa delle Ferrovie calabro-lucane, si trova un sistema di grotte e ruderi risalenti al X secolo. Vi si accede dalla strada Melicuccà-Piani della Corona, ad appena un km da Melicuccà. È ciò che resta di uno dei più importanti insediamenti monastici greci dell’alto medioevo.

La zona era ideale come luogo di preghiera e nascondimento (esichìa). Le Vite di vari santi italogreci parlano di una moltitudine di piccole grotte (aulinae), che presto si popolarono di eremiti emuli dello Speleota.

La grotta più ampia (la «divina grotta»), è ancor oggi oggetto del culto popolare, ripristinato nella seconda metà del secolo scorso dall’arciprete Felice Adornato. La Grotta, l’unica lasciata intatta da terribili terremoti, è alta circa quattro metri e profonda 18, ospita un altare dedicato agli Apostoli, Pietro e Paolo e un fonte in pietra dove gocciola l’acqua che, secondo la tradizione risalente all’agiografo, ha la virtù di sanare.

 La Vita

La Vita greca (Bios) del santo, scritta pochi anni dopo la morte dal discepolo Ciriaco, narra che egli nacque a Reggio da ricchi genitori, Pietro e Leontò, l’anno 864, morì a 97 anni e fu sepolto nella tomba scavata da lui stesso nella grotta. Da bambino cadde spinto da un compagno e si fratturò le dita di una mano, che poi gli caddero a causa della fasciatura troppo stretta fatta da un medico incompetente; perciò fu soprannominato monòchiro ‘con una sola mano’.

È uno dei casi più antichi di mala sanità di cui abbiamo notizia.

A diciotto anni Elia scelse la vita eremitica. Successivamente recatosi a piedi a Roma per visitare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo si fermò conducendo vita ascetica e solitaria finché fu accolto come discepolo dal vecchio monaco Ignazio.

Tornato in Calabria, si mise alla scuola del vecchio Arsenio, a Mindinon presso Reggio, ma per sfuggire a un attacco

dei Saraceni contro la città (probabilmente quello dell’888-89), si rifugiarono a Patrasso, dove vissero asceticamente per otto anni in una torre prima infestata da demoni.

Rientrati in patria incontrarono s. Elia Juniore, anziano e assai venerato che, partendo per la Grecia (dove morì nel 903), indicò Elia come suo successore e guida carismatica del monachesimo che si andava diffondendo in tutta la regione. Vissuto alcuni anni in una grotta presso il monte S. Elia, a causa del numero eccessivo di eremiti che accorrevano attratti dal suo carisma, si trasferì con i discepoli Cosma e Vitalio nelle grotte di Melicuccà.

Una delle massime studiose della grecità calabrese, Vera von Falkenhausen, scrive nel Dizionario Biografico degli Italiani che Elia, «secondo una tendenza diffusa nel monachesimo greco preferì la vita eremitica a quella in comune nei cenobi. Per anni o decenni visse in rigoroso ascetismo. Ciò significava lunghi digiuni (fino a dieci giorni di seguito), veglie, preghiera continua e incessante meditazione sulla morte.

A questo scopo nel monastero rupestre egli usava dormire sul sito che aveva prescelto come tomba. Solo quando i discepoli accorsero sempre più numerosi Elia rinunciò a malincuore alla vita eremitica e divenne abate e guida carismatica di un fiorente monastero».

L’ascetica palestra

Il monastero, che nel secolo XI era noto col titolo di “imperiale”, fu onorato e protetto dai principi Normanni, che lo dotarono di una vasta proprietà. Alla scuola di Elia, che il biografo chiama “ascetica palestra”, si formarono molti santi italo-greci.

Elia pretendeva dai suoi monaci povertà assoluta e ascesi, alternata con lo studio e la copiatura dei manoscritti. Dall’attività calligrafica dello Speleota derivò una vera e propria scuola scrittoria.

Un documento eccezionale, scritto in dialetto calabrese nel Cinquecento pubblicato dall’Università di Palermo, ci informa della vita quotidiana del monastero.

È il typikon di S. Luca, la Regola dei monasteri calabro-siculi.

Le Regole ci forniscono una vivida testimonianza della vita eroica dei monaci nei secoli d’oro, prima della lenta decadenza della tradizione basiliana. Eccone alcune:

Le donne non possono avvicinarsi al Monastero.

«Siano li nostri monesteri sepparati omninamente de tutti donni, perché veramente quello che atopera lo foco accostato con la paglia, questo atdoperanno li donni atcostando con

li monaci. Nessun abate né suddito presuma, in tavula dovi mangia donna, mangiare, per la quale intrò nel mondo la prima rovina».

 Ministeri (diaconie) nel Monastero.

« È necessario che lo monasterio abbia questi et tanti ministri a lo suo servizio: lo grand’ecclesiarca, lo protovestiario, lo grande iconomo, lo dociario (bbuttiglieri), lo scevofilaca (sacristano), lo bibliofilaka (conservatore de li libri), lo nosocomo (infirmeri), lo cellario, lo prototrapezario, lo protoxenodocho (ospitaleri).

«Et questi averranno ogniuno in aiuto uno altro. et a questi tutti eligerà lo abbati da li ppiù fideli et discreti frati de lo monasterio. Et a quelli che videra prompti et fideli nelli servizii onorerà et remonerà di dignità et di altri comodi, et a li pigri leverà la lo ministerio et eligerà altri solliciti et fideli».

 Un inno risalente al sec. XI celebra il santo eremita come “Sole dell’Occidente” (per l’assonanza del nome Elia con il nome greco del sole helios).

La vita del santo è così celebrata: Non si possono descrivere compiutamente, degnamente, le tue fatiche, le tue sofferenze, il sudore delle tue mani, la tua pazienza, in inverno, al gelo, il tuo premio per avere passato la vita con una sola tunica.

 Soppressione del monastero

Nel 1784, all’indomani del rovinoso terremoto del 1783 (il “Grande Flagello”), un dispaccio del Re Ferdinando IV di Borbone decretò la soppressione di tutti i Luoghi Pii e Ordini Religiosi destinando le rendite a beneficio delle popolazioni terremotate. I beni furono incamerati dalla Cassa Sacra.

Con la fine dell’Ordine Basiliano in Calabria, piombava nell’oblio un monastero che per oltre otto secoli aveva svolto un ruolo importantissimo per la regione.

La venerazione per lo Speleota non venne mai meno nelle popolazioni locali e raggiunse il culmine in seguito al ritrovamento delle ossa del santo (1747), di cui esiste atto notarile, e alla prodigiosa sudorazione della sua immagine (24 maggio 1754), di cui fu redatto verbale (riprodotto nella Vita di Scipione Careri).

L’acqua miracolosa

Don Felice Adornato (1848-1902), nella sua lunga attività di curato si prodigò per il recupero della grotta diventata rifugio di pastori ed armenti.

La gente però aveva seguitato a tornarvi per attingere e conservare con fiducia, per casi d’infermità, l’acqua che stilla da un punto della volta rocciosa della grotta e raccolta dentro una conca.

L’eccellentissimo Filippo Mincione, vescovo di Mileto, visitò questa spelonca veneranda per le sacre memorie e bevve devotamente l’acqua miracolosa nell’anno della salvezza 1855. Un evento che Don Adornato volle ricordare con l’iscrizione sulla parete della grotta.

Fu in quella circostanza che le ossa del Santo furono collocate dentro una modesta teca lignea e custodite in una cappella laterale della chiesa del SS. Rosario di Melicuccà, già “chiesa della Grecìa”. Dopo il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa cattolica è anche stato proposto di riconoscere a S. Elia il titolo di Patrono degli speleologi.

*Libera riduzione di un testo del prof. Paolo Martino, Ordinario di Linguistica e Glottologia presso l’Università Lumsa di Roma

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