Nel suo viaggio nelle Due Sicilie nell’ultimo ventennio del ‘700, Henry Swinburne, illustre intellettuale inglese, comprese e descrisse con acutezza, attraversando la Calabria, le ragioni del sottosviluppo di una regione che in passato aveva avuto come emblema la spiga e la cornucopia
Silvana Comi
Il 9 maggio 1777 Henry Swinburne si affrettò a partire da Rossano con l’intento di giungere in serata a Cariati avendogli la guida assicurato che prima di questo paese non avrebbe trovato alcuna locanda accogliente.
Ma nell’attraversare il Trionto uno dei cavalli cadde e si azzoppò, sicché il viaggiatore e il suo seguito furono costretti a fermarsi per la notte in un casale presso Mirto che fornì loro un’ospitalità tanto gradevole quanto inaspettata, particolarmente per 1a gentilezza dell’oste. Questi fra l’altro raccomandò ai servi dell’inglese di non lasciare nulla fuori dalla porta perché nelle vicinanze c’era un accampamento di zingari sempre pronti al furto.
Swinburne già in un viaggio in Ispagna aveva avuto modo di incontrare molte tribù di zingari e perciò, sollecitato nella sua inestinguibile curiosità da questa nuova occasione, chiese notizie degli zingari calabresi all’oste stesso e ad altre persone di Mirto traendone una somma di informazioni che riferisce nella sua opera con la obiettività che caratterizza il suo impegno di scrittore, il quale non indulge mai ad ampollosità e a preziosità letterarie, ma dichiaratamente persegue “verità, chiarezza e buon senso”. Swinburne è uno dei pochi viaggiatori che nel tardo ‘700 percorsero la Calabria per lo più sollecitati da due fondamentali stimoli non sempre ben separabili: uno, la curiosità di conoscere; l’altro i richiami classici.
Lo spirito illuminista che animò questi viaggiatori li spinse per l’Europa con interesse puramente erudito e con spirito enciclopedico: l’obiettivo era la raccolta indiscriminata di dati e cognizioni. In altri casi, si trattò di persone di sensibilità romantica che, sulla scia della lettura dei testi antichi, cercarono nel Sud la testimonianza di una cultura e di una civiltà della quale si sentivano partecipi.
L’esempio più famoso e più valido del primo tipo è rappresentato appunto dallo Swinburne, alla seconda categoria appartiene invece Goethe. Henry Swinburne (Bristol 1743 – Trinidad 1803) fu dunque il primo tra i viaggiatori stranieri del ‘700 a compiere (nel 1777-1778) un tour quasi completo del Regno delle Due Sicilie dopo una adeguata e non occasionale preparazione linguistica, letteraria e scientifica sul paese che si accingeva a visitare.
Fra quelli del suo secolo, Swinburne fu certamente il primo che, a viaggio ultimato, ha elaborato adeguatamente gli elementi acquisiti (osservazioni, testimonianze, dati storici, scientifici…) e mettendoli a confronto con i testi più importanti sugli stessi argomenti pubblicò due volumi: il primo nel 1783; nel 1785 il secondo.
Appena giunge dalla Puglia in Calabria (il 6 maggio nel 1977), Swinburne sente il bisogno di fare delle osservazioni critiche, di carattere sociale ed economico, che certamente vogliono essere il modo più idoneo per introdurre il lettore alla descrizione di un viaggio in una regione tanto suggestiva quanto arretrata e misera. “I baroni – egli scrive – sono in genere ben lungi dal considerarsi protettori e padri politici dei loro vassalli; essi, anzi, per estendere il loro dominio, usurpano tante terre demaniali e coltivate da non lasciare ai contadini né la possibilità né lo spazio di coltivare e produrre il necessario per vivere; costoro quindi si danno all’accattonaggio o entrano in qualche Ordine indossando l’abito religioso. Quando il padre di famiglia è oppresso dalle tasse ed è sopraffatto dalla fame e dalla miseria va alla montagna, cioè si rifugia nei boschi dove si unisce ai derelitti come lui, diventa contrabbandiere e a poco a poco fuorilegge, ladro e assassino”.
Lo scrittore qui individua con acutezza il carattere sociale di quel brigantaggio che fra l’altro rendeva malfamata e invisitabile 1a Calabria.
La rapacità del baronaggio, assolutamente inerte ed assente, è continuamente sottolineata lungo il viaggio da Swinburne che denuncia nello stesso tempo la insostenibile condizione dei contadini: “In tutto il Reame la situazione degli agricoltori è veramente deplorevole; ogni cosa è tassata, e i sistemi di raccolta sono inutilmente crudeli e dannosi. Tutti gli animali vivi in Calabria sono tassati: si debbono pagare sei carlini per un bue, quattro grane per una pecora. Perciò non meraviglia che gli allevatori vivano nell’indigenza, che i contadini non tengano bestie di nessun genere e si nutrano occasionalmente con cibi privi di sostanza.
Altrove l’inglese rivela la convergente funzione oppressiva che esercitano in Calabria il baronaggio e gli esattori senza che il governo abbia la forza di intervenire, e riconosce come tale sistema è causa di impoverimento e di corruzione. Così a proposito della crisi della produzione della seta in questa regione hanno come destinatari i baroni e gli esattori delle tasse. I primi col monopolio, i secondi con le esazioni obbligano i poveri mercanti a dedicarsi al contrabbando per vivere; dall’altra parte gli esattori trovano il loro interesse a farsi complici dei contrabbandieri a danno delle entrate “rege”. Ed ancora pagine molto vivaci di incondizionata adesione lo scrittore riserva alla ribellione degli Scillesi- contro il principe Ruffo “accusato di esercitare la più terribile tirannia sui suoi vassalli e di impiegare una banda di furfanti non solo contro la proprietà, ma anche contro la vita” degli infelici abitanti dei feudi.
Come tutti i viaggiatori del suo tempo, Swinburne rileva una drammatica contraddizione in Calabria tra la condizione di mortificante sviluppo sociale ed economico e le grandi potenzialità naturali che, se realizzate adeguatamente, consentirebbero benessere e civiltà.
La causa di tutto è il malgoverno. “Se il governo fosse sollecito del bene pubblico – egli scrive – piuttosto che degli interessi privati, se la giustizia fosse amministrata con maggiore onestà ed imparzialità dai magistrati e con minore rapacità da subalterni, se le tasse fossero imposte con maggiore equità e discernimento ed esatte con maggiore scrupolosità, se il contadino afflitto dalle vessazioni avesse a chi rivolgersi per ottenere giustizia, queste fertili campagne potrebbero uscire dal loro stato attuale di desolazione e ricche e fiorenti città potrebbero risorgere lungo le spiagge ora deserte”.
Del resto la naturale fecondità della terra calabrese diviene per i viaggiatori del ‘700 e del primo ‘800 quasi un mito che negli illuministi si richiama alle dottrine fisiocratiche, nei classicisti all’immagine di un paese che nell’antichità era stato così florido da assumere come emblema la spiga e la cornucopia, e nei romantici al sentimento della terra primitiva, vergine e felice.
Certo Swinburne esercitava una critica al baronaggio e al malgoverno né sconosciuta né originale in anni in cui la scuola illuministica napoletana (per tacer d’altri) aveva analizzato nei vari aspetti e con vari atteggiamenti la situazione socio-economica del Sud; ma risultano quanto mai interessanti il discorso e la denuncia di questo intellettuale inglese che attraverso il suo prestigio e la sua fama di scrittore contribuiva a diffondere 1a conoscenza della triste condizione di una regione della periferia europea ancora totalmente sconosciuta.