“Viaggiare può anche significare osservare con uno sguardo nuovo ciò che abbiamo da sempre a portata di mano e così ridare un senso ai luoghi stessi e trovare una ragione per amarli e nello stesso tempo riacquistare la nostra identità.”
Francesco Bevilacqua
«Alba di un’umida e brumosa mattina. Stagione e anno imprecisati (tra il 1907 ed il 1911 probabilmente). Un attempato gentleman inglese, in abito di tweed, scarpe robuste, bastone da passeggio e cappello di feltro dalle larghe tese, s’incammina, a piedi, con una svogliata guida locale, da Delianuova (m. 583 s.l.m.) verso il Montalto (m. 1955 s.l.m.), massima elevazione e cuore dell’Aspromonte.
«I due giungono in vetta dopo una faticosa ascesa nella nebbia e nel nevischio. Riprendono subito il cammino scendendo dal versante opposto della montagna. Per remoti sentieri giungono a Bova, dopo 14 ore di marcia. Ancora oggi un’impresa! Non basta. Dopo un copioso rinfresco a base di vino locale, il gentleman in questione, lasciato il suo accompagnatore, scende a Bova Marina per prendere il treno e spostarsi verso nord: altre tre ore di cammino. Ma chi è questo strano tipo che attraversa l’Aspromonte da ovest a est in 17 ore di cammino in un sol giorno? Il nome è Norman Douglas ed è legato a un singolare libro di viaggio che ha per titolo “Vecchia Calabria” pubblicato per la prima volta a Londra nel 1915».
“Vecchia Calabria”, un libro che, rivela Francesco Bevilacqua, ha “sempre portato nel cuore” E non c’è da sorprendersi considerato che anche lui, scrittore e naturalista, conta all’attivo centinaia di esplorazioni a piedi sulle montagne della Calabria.
Norman Douglas nacque in Austria, nel Voralberg nel 1868, da madre austriaca e padre scozzese. Compì studi classici ma dimostrò grande interesse per le scienze naturali e la biologia.
Viaggiò molto, sin da giovane, ed ebbe un vero culto per il Mediterraneo e l’Italia del Sud. Dopo un incarico diplomatico in Russia, smise di avere un’occupazione fissa e tornò a girovagare per l’Europa del Sud ed oltre, scrivendo romanzi, saggi, racconti di viaggio e perfino curiosi libri sulla gastronomia afrodisiaca.
Fu amico di Joseph Conrad, Compton Mackenzie e Giuseppe Orioli, raffinato editore fiorentino, noto per aver pubblicato per primo “L’amante di Lady Chatterley” di D.H. Lawrence. Conobbe Graham Green e Sigmund Freud. Condusse una vita sregolata e anticonformista. Da donnaiolo impenitente divenne, in età matura, omosessuale dichiarato. Elesse Capri come sua patria e per essa progettò e compì un’importante opera di rimboschimento dell’isola.
Portò soccorso alle popolazioni terremotate di Reggio e Messina nel 1908. Una sua denuncia fece cessare lo scandaloso utilizzo della manodopera infantile nell’industria della Pomice a Lipari.
Amò moltissimo la Calabria, soprattutto i suoi paesaggi. Viaggiò nella regione almeno sette volte tra il 1907 ed il 1947. Sempre a corto di denaro, inguaribile giramondo, dopo la seconda guerra mondiale, si ritrovò solo e malato. Una coppia di amici lo accolse a Capri, dove Douglas visse gli ultimi anni, mettendo fine alla propria esistenza con una overdose di barbiturici nel 1952.
In Calabria, a Torre Camigliati, ha sede il Parco Letterario dedicato a Norman Douglas ed ai viaggiatori del Grand Tour.
«Ma tornare nei luoghi dei viaggi a piedi tra le montagne della Calabria di Norman Douglas è anche l’occasione – suggerisce Francesco Bevilacqua – per raccontare, ad uso di chi vi abita ma anche di tutti gli altri, storie, aneddoti, fatti che servano a ridare un senso ai luoghi stessi, a trovare una ragione per amarli, quei luoghi».
La festa della Madonna del Pollino
È un grande pic-nic in onore della Vergine. Duemila persone si accampano intorno alla cappella, con un enorme esercito di muli e di asini, i cui ragli si mischiano alle musiche pastorali delle zampogne e delle cornamuse. (…) L’ondeggiare della folla in movimento riempie la visuale; si accendono fuochi sotto improvvisati ripari e si divora una pazzesca quantità di cibo, secondo l’uso prescritto in queste occasioni (…). Da tutte le parti pittoreschi gruppi di danzatori, al suono delle cornamuse, si abbandonano a una vecchia danza locale, la pecorara, una sobria tarantella in cui l’uomo volteggia con atteggiamenti fauneschi di invito e schioccar di dita, mentre la donna sfugge all’invito con gli occhi bassi. La chiesa è affollata fino all’inverosimile; riti e preghiere si susseguono senza interruzione (…). Feste come questa sono residui di paganesimo ed hanno la mia più cordiale approvazione. A quest’ora anche noi inglesi dovremmo aver imparato che è un pericoloso errore la repressione del piacere (…). Soltanto per motivi etici – come valvole di sicurezza – tali feste notturne debbono svolgersi in terre come queste, dove i contadini non hanno le nostre agevolazioni. Chi può loro rimproverare queste gioie primordiali che si scatenano sotto l’occhio maternamente indulgente della Madonna, santificate dall’antichità e dai cieli stellati?