Emerge sul litorale nel Golfo di Policastro, poco più a Sud di fronte a Praia a Mare (CS), a breve distanza dalla costa, di fronte a Capo Arena e alla Torre di Fiuzzi. Un tempo, un istmo la collegava alla terraferma, ma i fenomeni di erosione, cui tutta la zona è soggetta, lo hanno fatto scomparire.

L’isola ha una superficie di circa cinquanta ettari ed è costituita da calcari dolomitici. La sua forma è assimilabile ad un ellissoide con l’asse maggiore lungo circa 1 km; l’asse minore circa 500 metri. La parte centrale è occupata da un pianoro d’altezza variabile tra i 75 e i 100 metri. Il dorso scende poi lentamente verso ponente fino ad una quota di 73 metri su cui sorge una cinquecentesca torre di avvistamento.

Varie sono le interpretazioni sul nome. L’isola è stata chiamata “Dino o Dina” forse perché anticamente vi sorgeva un tempio (aedina) consacrato dai naviganti a Venere, dea dell’amore, o ai Dioscuri, Castore e Polluce, il cui culto era tra i più diffusi tra le città della Magna Grecia, o più probabilmente a Leucotea, protettrice dei naviganti. La dea, secondo le credenze, avrebbe avuto il compito di rendere propizie le traversate lungo la costa che, per lo splendore del sole e per il luccichio quasi immobile del mare, più che mitica presenza delle Sirene, fiaccava le forze e assopiva le menti dei marinai nell’ora meridiana, con la caduta del vento e con l’incombente calura.

Il nome “Dino” potrebbe però derivare dalla parola greca “dine” che significa vortice, gorgo d’acqua, turbine, bufera. Il piccolo golfo, compreso tra l’isola e la Punta di Scalea, era temuto dagli uomini di mare a causa delle frequenti e violente mareggiate che ne rendevano difficoltosa la navigazione. Anche in epoca recente questo lembo di mare è temuto da pescherecci che vi praticano la pesca costiera.

Le intemperie non hanno risparmiato neppure la maestosa e solenne croce di pietra eretta sull’isola nei primi anni del 1900.

L’isola fu testimone di lotte e battaglie, assalti, difese, incursioni piratesche, difese disperate. Vascelli mussulmani vi fecero tappa in più occasioni nel corso delle loro spedizioni: nel IX secolo dopo Cristo, nel XV e nel XVI. Nell’estate del 1600 il litorale fu preso d’assalto dai Turchi, guidati da Amurat Rays, che con il suo esercito di predoni e le sue navi terrorizzava il Meridione d’Italia.

La Torre dell’isola, di forma quadrangolare e di origine normanna, fu utilizzata in epoca angioina e borbonica come punto di avvistamento, comunicazione ed allarme contro le ripetute invasioni della costa. Dalla torre costruita sulla punta occidentale dell’isola (denominata Frontone), si può ammirare lo splendido panorama del golfo e le nidificazioni degli aironi grigi e dei falchi pellegrini, il tutto allietato dai versi dei numerosissimi gabbiani reali.

Il perimetro dell’isola, sprovvisto di arenile, misura tre km su cui si aprono numerose grotte. Iniziando il periplo dal versante Nord se ne incontra una molto piccola ma molto suggestiva quando i raggi del sole la illuminano da ponente. Le sue acque, sempre limpide, perché riparate dai venti, consentono di osservare ad occhio nudo il fondale, circa dieci metri di profondità. Si possono ammirare stelle marine e banchi di “sardine” che danno il nome alla grotta.
Doppiati gli strapiombi della punta occidentale si apre la Grotta del Frontone. Avanzando di una cinquantina di metri si apre poi un’altra grotta al cui interno ci si può spingere con una piccola imbarcazione per una ventina di metri. Ci si addentra poi a piedi e nel fondo della grotta si possono ammirare sui lati le rocce levigate dall’acqua e sul pavimento numerose conchette di forma diversa, simili ad acquasantiere.

Sul versante a Sud altra grotta dalla grande apertura. La sua bellezza è data da varie componenti che armonicamente si fondono e creano uno spettacolo suggestivo: la profondità di circa 12 metri, la disposizione e l’altezza varia della volta rocciosa non levigata, la posizione della cavità esposta a mezzogiorno con la parte interna orientata verso il levante offre straordinari effetti di luce dal colore azzurro. Ebbene, sì, anche qui c’è una Grotta Azzurra!

Poco più avanti la Grotta del Leone così chiamata per una roccia che somiglia a un leone sdraiato.

A metà del secolo scorso tanta bellezza solleticò l’interesse di molti ma a nessuno arrise il successo. Sembrò che a poter vincere la gara fosse Gianni Agnelli che nel 1962 comprò l’isola per 50 milioni di lire. L’Avvocato avrebbe voluto farne un polo del turismo di lusso, una alternativa a Capri e Saint Tropez.

Fu progettata una edificabilità molto contenuta e fu costruita una strada di 1700 metri, il pontile di attracco per le barche. Apparvero dei bungalow, i trulli bianchi, un ristorante.

Erano gli anni del boom e tutto sembrava possibile. Ma si aprì presto una battaglia giudiziaria durata venti anni che vide vincitore Antonio Praticò, ex operaio, eletto per quattro legislature consecutive Sindaco di Praia a Mare. L’Isola di Dino è tornata bene pubblico

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